Imprigionati in gabbie minuscole abbandonate al sole e alla pioggia. Addestrati sin da piccoli a raccogliere noci di cocco in maniera rapida ed efficiente. Poi costretti in catene e obbligati a lavorare senza sosta. Spesso muoiono per la fatica, o per la fame, e vengono immediatamente rimpiazzati, senza scrupoli o rimorsi. Un destino tragico che accomuna molti macachi nemestrini, schiavizzati e sfruttati per la raccolta delle noci di cocco.
Un regime di abusi e maltrattamenti, denunciato già nel 2015. Le ultime indagini della PETA (che sta per Peope for Ethical Treatments of Animals) hanno solamente dato nuova visibilità a un fenomeno niente affatto nuovo. La recente inchiesta, svolta sotto copertura dalla sezione britannica della PETA, svela le terribili condizioni di vita a cui sono costretti questi primati. L’indagine è stata condotta in 8 fattorie thailandesi, dove numerosi macachi vengono schiavizzati e sfruttati per la raccolta delle noci di cocco.
L’inchiesta
Le indagini della PETA parlano chiaro. In Thailandia ci sono numerosi macachi schiavizzati e costretti in catene, condannati ad un’esistenza pietosa di lavoro forzato. Come se fossero delle macchine il cui unico scopo è quello di raccogliere quante più noci di cocco possibili. I macachi menestrini vengono catturati ancora cuccioli, strappandoli alle madri e ai propri compagni. Questi animali socievoli e intelligenti vengono poi isolati e incatenati, impedendogli qualsiasi interazione. E perciò non di rado impazziscono.
Spesso vengono anche privati dei canini, per renderli innocui, tramite interventi dolorosi e crudeli. I macachi schiavizzati nelle fattorie thailandesi arrivano a raccogliere fino a 1000 noci di cocco in un giorno, una cifra impensabile per un essere umano. E lo fanno tutto il giorno, senza soste e senza cibo. Così molti muoiono di stanchezza o di fame, e immediatamente vengono sostituiti per mandare avanti un’industria che smuove miliardi di euro l’anno. Per questo la PETA invita a boicottare tutti i prodotti come latte, olio, yogurt, fatti con noci di cocco provenienti dalle piantagioni thailandesi.
La replica del governo
Le denunce e gli inviti al boicottaggio da parte della PETA non hanno fatto molto piacere al governo thailandese. Il ministro per il Commercio Jurin Laksanawisit ha subito smentito ogni accusa, affermando che lo sfruttamento dei macachi per la raccolta delle noci di cocco sia un fenomeno quasi inesistente nel Paese. “Le immagini che ritraggono scimmie arrampicate sulle palme da cocco potrebbero essere tratte da videoclip girate a scopi turistici e questo può creare fraintendimenti“, ha ribattuto il ministro.
Considerazioni finali
Non possiamo affermare con assoluta certezza quanto sia diffuso questo fenomeno. Se si tratti di alcuni casi limitati a certe fattorie del sudest asiatico o se sia invece un elemento sistemico di questo settore industriale. In ogni caso, le immagini (e le indagini) mostrano quanto sia disumano il trattamento che viene riservato a questi poveri primati. Quello dei macachi menestrini è solamente l’ennesimo caso di crudeltà ingiustificata nei confronti delle altre specie animali. Ed è, allo stesso tempo, lo specchio di tutta una cultura, di un’intera civiltà. In un mondo dove contano solo il denaro e il potere che valore possono avere le vite di alcune scimmie?
A conti fatti, il valore dell’industria delle noci di cocco si aggira attorno ai 2 miliardi di euro. I principali paesi coinvolti in questo business sono Indonesia, Filippine, India, Brasile e Sri Lanka. Stando ai dati del 2020, la Thailandia è solamente al nono posto, con una produzione di cocco pari a 1 milione di tonnellate. Ma se queste sono le condizioni della nazione al nono posto, di un business relativamente piccolo, figuriamoci cosa accade o può accadere nelle altre nazioni, e in altri business…
Dopo tutto sono scimmie, animali, mica esseri umani. E chi può sentire una voce che non hanno?
Vincenzo Rapisardi