Crolla tutto. I grillini si svegliano da un sogno durato più di dieci anni. Lontani sono i ricordi di quei giovani e scanzonati Vaffa Days. Accompagnati dal disincanto tornano sui propri passi, lasciano più di quanto avremmo creduto.
Il M5s fallisce in Emilia-Romagna e Calabria. Con un 3.48 % al nord e un 7.35% a sud il Movimento incassa una sonora batosta e subisce l’affievolirsi dei primordiali grandiosi slanci vitali. Il M5s è morto e nessuno grida “viva il Movimento”. Non c’è rigenerazione che tenga, riorganizzazione che sopravviva. Si fanno largo nuove ondate, nuovi irriverenti che rubano man mano le luci della ribalta. Uno sbiadito Di Maio lascia le redini mantenendo un sorriso da fiction anni 90′, nessun pretendente al trono sembra voler ereditare il destino del M5s. Eppure, a pensarci bene, grande è l’eredità trasmessa. Grande e onerosa.
Si inizia nel 2007 con i primi Vaffa Days. Sono tutti così elettrizzati. Vengono raccolte 336.000 firme per presentare una legge di iniziativa popolare al fine di impedire la candidatura al Parlamento di condannati penali e di individualità che avessero già svolto due legislature. Da allora il M5s non fa altro che crescere. Nel 2013 i grillini entrano in Parlamento, all’opposizione, sì, ma in Parlamento. Poi battaglie e cortei e piazze in giubilo, fino al 2018.
Il 4 marzo 2018 il M5s conquista il 32% alle elezioni politiche diventando il partito con maggiore consenso popolare. I pentastellati festeggiano, fioccano le dichiarazioni dei loro leader. Chiunque dovrà fare i conti con loro, la Terza Repubblica attende alle porte, il cambiamento è imminente e inesorabile. Il sogno si è fatto realtà, tutti quegli anni passati a sudare per le strade, nelle piazze, sui social, hanno finalmente dato i loro frutti. Il primo giugno 2018 nasce il Governo Conte I, niente sarà più come prima. Certo, pesa un po’ sulla corazza dell’integrità morale il fatto di aver stretto un’alleanza con la tanto vituperata Lega, ma l’entusiasmo è galoppante e non si può poi vivere sempre all’opposizione, è ora di guidare il Paese.
Alla faccia di chi aveva osato definirli ignoranti e inadatti al governo. Non avevano capito niente. Alla faccia loro e di chi parlava di populismo e della sottile linea di confine tra rabbia e dittatura. E anche alla faccia di chi pensava che un partito guidato da un comico non avrebbe mai riscosso successo. Vinceva l’Italia degli umili, degli abbandonati, dei cittadini senza fiducia e senza speranza che si erano ribellati al sistema oppressivo e ingiusto, un sistema che per decenni aveva vessato ogni barlume di libertà popolare. Finalmente i nodi erano venuti al pettine, la travolgente macchina del futuro si era messa in moto e nessuno avrebbe potuto fermarla.
Reddito di cittadinanza e Decreto spazza corrotti, votazioni iperdemocratiche online e rinuncia ai privilegi. Il M5s si è presentato così agli italiani, eppure più passavano i giorni e più la componente verde del Governo sembrava prendere spazio e alzare la voce. Sarà che qualche contraddizione in seno ai pentastellati cominciava a farsi ingombrante, o forse era solo una questione legata all’inesperienza, alla mancanza di malizia. Intanto continuavano a verificarsi le defezioni: Sara Cunial, Paola Nugnes, Veronica Giannone, Gloria Vizzini e Davide Galantino.
Alle elezioni europee nel maggio del 2019 il M5s subisce il primo consistente calo di consensi. Trionfa invece la Lega. Da quel momento in poi si entra nella storia più recente. Tensioni, litigi, dichiarazioni sprezzanti arrivano da entrambe le componenti di Governo. Poi la crisi e il Governo conte II. Ma a noi interessa fermarci un attimo prima, sull’orlo del baratro pentastellato, quando ancora non si vedeva chiara la fine.
Molti si chiedono come Matteo Salvini sia riuscito a raggiungere un così ampio bacino di consensi. Sarebbe da ingenui non notare nei risultati delle elezioni in Emilia-Romagna una crescita vertiginosa della Lega, un fenomeno tutt’altro che immaginabile fino a qualche anno addietro. Alcuni spiegano che il risultato è dovuto alla grande campagna di marketing e di propaganda continua che il Capitano esercita su ogni possibile canale di comunicazione. Hanno ragione, ma solo in parte.
La verità intera è più amara e dolorosa, soprattutto per chi è arrivato al potere con la faccia e la fedina penale pulita. Sta nella responsabilità o corresponsabilità diretta o indiretta degli atti che a Matteo Salvini sono stati addossati durante un torrido Ferragosto passato nelle aule parlamentari. Si radica nell’atteggiamento di chi giudica con fervore gli atti che si è dimenticato di aver avallato senza battere ciglio. Questa è la vera eredità del M5s, un canale di sfogo esaurito e ripiegato su sé stesso nel nostalgico ricordo di quei giorni passati a gridare la propria indignazione pubblicamente.
L’eredità pesante di chi ha indefessamente chiuso gli occhi davanti alle prevaricazioni dell’uomo forte, atteggiandosi ad argine solo per reazione e nel momento in cui veniva abbandonato, mentre avrebbe preferito restare leale compagno ossequioso seppur non considerato. Salvini è in parte, non del tutto, un’eredità lasciata dal M5s. Questo va ricordato, questa la grande dimostrazione di disattenzione, questa la macchia sulla coscienza di quel Movimento che voleva fare tutto e non fece niente.
Paolo Onnis