I mille volti di Silvio Berlusconi (Cavaliere, guascone, immobiliarista, presidente, imputato, latin lover…) sono quelli di un personaggio che per 17 anni ha segnato le principali vicende della storia politica italiana. Il Berlusconismo come fenomeno sociologico è diventata una categoria fuori dalle categorie, una variabile, tutt’altro che impazzita, nella favola allegra della storia repubblicana italiana dopo il repulisti di Mani Pulite.
Silvio Berlusconi è stato il protagonista indiscusso delle principali vicende della storia politica italiana dal 1994 al 2011. I mille volti di Silvio Berlusconi si riflettono nelle innumerevoli vite, tutte concentrate nell’arco di una sola esistenza terrena, costellate da tanti successi imprenditoriali e sportivi ma da altrettanti scandali politici e mediatici che tuttavia non lo hanno mai reso ostile all’opinione pubblica. Attraverso la spettacolarizzazione della politica e la politicizzazione dello spettacolo, il fondatore di Forza Italia, è riuscito infatti a contagiare un po’ tutti gli italiani – alcuni più consapevolmente altri meno – rendendoli un po’ tutti berlusconiani.
I mille volti del “fenomeno” Berlusconi
La rottura degli schemi, il bipolarismo mediatico, e il leaderismo prêt-à-porter, sono forse i tratti più affascinanti del “fenomeno” Silvio Berlusconi, nonché fonte di innumerevoli successi sul piano personale ma a anche di inverosimili figuracce su quello diplomatico (come dimenticare le battutine e le gaffe adoperate nei principali consessi internazionali). Del resto, anche l’immagine del Berlusconi homo novus, self made-man e profeta della rivoluzione liberale, come pubblicizzato magistralmente nel video di Forza Italia nel lontano 1994 in occasione della sua discesa in campo, è perfettamente inquadrabile in quella strategia di spettacolarizzazione dell’esperienza politica, che di lì a poco avrebbe fatto breccia nel cuore e nella mentalità degli italiani.
Ma, la verità dietro alla pubblicità è un’altra. Silvio Berlusconi era a tutti gli effetti un esponente dell’establishment della Prima repubblica, non solo perché amico personale di Bettino Craxi ma anche perché ricevette tanti favori da quegli stessi politici che caddero sotto i colpi del pool di Mani Pulite, guidato da Antonio di Pietro, nel 1992.
Ci sono due date importanti, entrambe antecedenti all’ingresso di Silvio Berlusconi in politica, che mettono in evidenza i legami del Cavaliere con la classe dirigente della “Prima Repubblica”. La prima è il 1984, quando la Corte costituzionale si pronuncia sull’incostituzionalità di quello che passò alla storia come “decreto Berlusconi” e che permetteva alle emittenti locali di trasmettere su tutto il territorio nazionale.
La seconda è il 6 agosto 1990, quando la legge che porta il nome del socialista Oscar Mammì, riforma il sistema radiotelevisivo italiano, legittimando la posizione dominante del gruppo televisivo di Silvio Berlusconi, nel nome di un “pluralismo” inesistente. Appena quattro anni più tardi, il Partito Socialista interromperà la sua attività politica insieme agli alleati del “pentapartito” guidati dalla Democrazia Cristiana di Arnaldo Forlani.
La fenomenologia mediatica del Berlusconismo
Il 28 marzo 1994, il giorno della vittoria elettorale di Forza Italia, rappresenta uno spartiacque nella storia repubblicana. Quella data darà inizio ad una serie di profondi cambiamenti nella società italiana poiché con Berlusconi la politica diverrà magicamente intrattenimento, improvvisazione e leggerezza: in una parola caciara.
Non è una casualità, infatti, se il tratto più accentuato del Berlusconismo sia niente meno che il leaderismo. Con Berlusconi il rapporto tra massa e leader si mondanizza a tal punto da produrre un modo nuovo di fare politica e di gestire l’immagine del leader politico.
Sin dai suoi primi barlumi, il Berlusconismo era destinato a diventare una categoria dello spirito, e i mille volti di Silvio Berlusconi, declinazioni del suo modo di essere insieme leader politico, intrattenitore e imprenditore. La stessa concezione “alternativa” dello stato e delle istituzioni che dovevano essere meno distanti dal popolo, nell’illusone che in questo modo ci avrebbero guadagnato tutti ma i politici più degli altri, era un’idea fissa nella testa del fondatore di Forza Italia.
E proprio come accade per l’artista che nell’avanspettacolo cerca di ridurre le distanze con il proprio pubblico livellando i rapporti, allo stesso modo il Berlusconismo ha voluto tentare l’avvicinamento tra società e stato attraverso la figura intermedia di un leader amico del popolo che condivide con quest’ultimo le stesse passioni (dal calcio, alle belle donne).
Una categoria fuori dalle categorie
Il Berlusconismo come fenomeno sociologico è una categoria fuori dalle categorie, una variabile tutt’altro che impazzita nella favola allegra della storia repubblicana italiana dopo il repulisti di Mani Pulite. D’altronde, la commistione tra gli “affari di Berlusconi” e i “governi di Berlusconi” nei 17 anni di politica di Berlusconi era lapalissiana.
L’idiosincrasia per i comunisti e la grande riconoscenza nei confronti degli amici, hanno reso Berlusconi un evergreen della politica italiana, un leader buono per tutte le stagioni che, abituato com’era al mondo degli affari e dell’imprenditoria, non aveva problemi a superare le limitazioni istituzionali, appellandosi direttamente alla “sovranità degli elettori” pur di sbaragliare la concorrenza.
Ma, da grande conoscitore dell’animo umano, Silvio Berlusconi sapeva bene che per sorprendere e conquistare gli italiani, nella patria del melodramma e dell’avanspettacolo, avrebbe dovuto esporre la propria vita privata sul palcoscenico della politica, instaurando un legame alla pari con il suo pubblico e ricorrendo, di tanto in tanto, a promesse da marinaio e slogan ad effetto, come nelle migliori pubblicità, tanto potenti quanto avulsi dalla realtà.
Tommaso Di Caprio
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