“Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo l’Unità puro e semplice che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale”. Queste erano le parole e la linea da seguire secondo Antonio Gramsci alla vigilia della fondazione del suo giornale l’Unità, fondazione avvenuta il 12 febbraio 1924 . Un giornale del genere in un periodo non proprio favorevole a questi ideali, un giornale che si batteva contro il potere e che hanno cercato più volte di censurare ma che non è morto. Ha 94 anni circa dopo che hanno cercato di chiuderlo, di tappargli la bocca soprattutto nei primi anni è riuscito comunque ad arrivare a noi. Ed oggi questa eredità rischia di scomparire.
L’Unità è un giornale che non tutti leggono e che non tutti amano. Un giornale legato al PD, che non è proprio il partito di tutti. Molto di sinistra e molto di parte. Nonostante questo non merita la liquidazione. Il giornale sta passando un calvario e non si capisce bene cosa potrà accadere. Sergio Staio, geniale vignettista e direttone de l’Unità, continua inesorabilmente a chiedere ( come portavoce di tutta la redazione) spiegazioni. Le chiede al segretario del PD Matteo Renzi, ai soci di maggioranza della testata e chiede sempre le stesse cose da mesi. Il succo delle domande sono: perché si è presa questa strada che sta portando alla morte del giornale? Le risposte sono solo “silenzi, insulti, minacce e generiche rassicurazioni”. La più tremenda è stata quella di Guido Stefanelli amministratore delegato dell’Unità srl, cito testualmente “Quando la scure si abbatterà su di voi la morte avrà la mia faccia”. Parole che fanno male sia alla redazione che rischia il posto, sia a chi legge e ama il giornale e non vuole che scompaia, e fa male soprattutto a tutti coloro che credono alla pluralità dell’informazione e al sacrosanto dovere di tenere in vita un giornale con questa storia. L’ex presidente del consiglio Matteo Renzi ha rassicurato il direttore Sergio Staino dicendogli, nel colloquio tanto bramato e alla fine arrivato, che non si può far chiudere un giornale così importante alla vigilia della campagna elettorale. Poi arriva il 1 febbraio la data che doveva sancire se ricapitalizzare quindi ripartire, liquidare quindi finire o la terza ipotesi di contentino che vorrebbe l’Unità come un mensile con una redazione piccolissima e una tiratura da valutare. E invece non si è scelto nulla, si è lasciato tutto nell’incertezza che era. Si è solo pensato di posticipare al 10 febbraio la decisione e allungare l’agonia.
Tutto questo porterebbe il licenziamento di massa della redazione, la fine di un pezzo di storia dell’informazione e tutto perché si è scelto di non scegliere da tempo. La redazione nonostante la spada di Damocle che gli oscilla sulla testa continua a fare un degno lavoro. Il segretario del PD bravo a parole non fa nulla, il PD sembra di essersi scordato di avere la responsabilità e la partecipazione ad una testata giornalistica, i soci di maggioranza augurano la morte. Qualsiasi sia la fine, sperando che sia un nuovo inizio, non è ammissibile comportarsi cosi. Non si può lasciare in bilico professionisti che con passione fanno il proprio lavoro. Aspettiamo la sentenza del 10 febbraio. Sperando che non muoia la storia.
Claudio D’Adamo