Luke Cage, il primo passo falso di Marvel e Netflix?

Dopo il successo di pubblico e critica di Daredevil e Jessica Jones, Netflix produce e distribuisce la terza serie targata Marvel: Luke Cage.

Con i primi due prodotti si è dimostrato come sia possibile portare il complesso apparato superoistico degli Avengers in un contesto più realistico. Due serie incredibilmente solide e innovative che riescono ad inserirsi nell‘universo cinematografico Marvel mantenendo un loro specifico carattere.
Daredevil era una serie action, ibridata a storie crime e legal, mentre Jessica Jones era un atipico noir al femminile. Per quanto riguarda questo Luke Cage non si può certo dire che il carattere specifico non ci sia. Certo le pecche sono così tante che non si può non posizionarlo almeno un gradino sotto le precedenti.

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fonte: inverse.com

Chi è Luke Cage

Luke Cage è un personaggio che già conosciamo. Lo abbiamo visto, infatti, gestire un bar e avere una relazione sessuale con Jessica Jones. È un gigante di colore invulnerabile e dotato di una forza sovrumana. Al pari di Jessica, è un supereroe minore dell’universo Marvel, ma importante abbastanza da convincere il giovane Nicolas Coppola a sostituire il cognome del famoso zio con quello, per l’appunto, di Cage.

In questa serie spin-off interamente incentrata su di lui, Luke si è trasferito ad Harlem. Nel famoso quartiere afro-americano di Manhattan, Luke presta servizio nel bottega da barbiere di Pop. Ben presto la sua presenza infastidirà la criminalità locale dando vita ad una vera battaglia per il dominio del quartiere.

Conosceremo inoltre il passato di Luke e scopriremo come ha acquisito i suoi poteri.

La serie di Harlem

Ancora più che in Daredevil (con la sua Hell’s Kitchen), è l’ambientazione a caratterizzare questa serie. Harlem si respira in ogni inquadratura: nei personaggi, nelle location, nel tono generale. È, insomma, il fuoco di tutta la vicenda. Luke Cage, per questo, si può definire una serie “nera”. Quasi tutti i personaggi sono afro-americani e il forte carattere culturale che li caratterizza è fondamentale per la resa estetica e narrativa finale.

Harlem traspare in maniera realistica e colorita, lasciando spazio a tematiche politiche e sociali non indifferenti. Questa, in sostanza, è la principale nota lieta di un prodotto che non può vantare molti altri pregi.

Tanti difetti: plot e antagonisti

I problemi principali di questa serie stanno nella scrittura della trama e dei personaggi. I 13 episodi che la compongono sono pieni zeppi di incoerenze, buchi di sceneggiatura e momenti sopra le righe. Il genere del cinecomics giustifica solo in parte alcune scelte narrative davvero infelici.

Ma la dinamica su cui si riversano maggiori criticità è quella protagonista-antagonista.
Per quanto riguarda l’eroe di turno non c’è molto da dire: Luke è senz’altro un bel personaggio e Mike Colter è perfettamente in parte. Nonostante un passato pieno di lati oscuri, però, Luke sembra fin troppo positivo. Troppo forte, troppo indistruttibile, troppo perfetto. Non ha alcuna caratterizzazione che lo sporchi anche solo un minimo e non sembra quasi mai davvero in difficoltà.

Quello che era il punto forte di Daredevil  Jessica Jones è qui la più grande criticità: l’antagonista. Wilson Fisk e Kilgrave erano due personaggi eccezionali. La loro presenza incuteva timore anche quando non erano in scena, in più avevano un aspetto umano (l’amore) verso il quale provare empatia. In pratica non si poteva non stare un po’ anche dalla loro parte.

Qui gli antagonisti si sdoppiano, a volte si triplicano, ma non se ne trova uno che compia al meglio il suo dovere. Cottonmouth è una macchietta, uno specchietto per le allodole. Fin dall’inizio è in una situazione di difetto nei confronti di Luke: non ha forza, non ha carisma, non sembra mai davvero pericoloso.
Poi arriva Diamondback e la situazione forse peggiora. Un personaggio fin troppo sopra le righe nonostante la discreta costruzione in antitesi a Luke. Non basta fargli citare versetti delle bibbia a casaccio per dargli lo spessore di Jules (Samuel L. Jackson) in Pulp Fiction.

Il primo passo falso di Netflix

Mai come in questo caso si ha la sensazione di una serie che semplicemente andava fatta. Un prodotto necessario per continuare il progetto che si concluderà con the Defenders, il corrispettivo televisivo degli Avengers.
Manca l’idea, l’ispirazione, la volontà di sorprendere. Insomma sembra che gli autori si siano accontentati di un cast di buon livello e di una messa in scena sopra la media.

Con questo Luke Cage emerge uno dei problemi che potrebbe caratterizzare in futuro la programmazione di Netflix. A differenza delle serie canoniche, quelle prodotte apposta per la piattaforma streaming possono permettersi di andare a vuoto. Senza le pressioni degli ascolti e delle critiche si può produrre serie un po’ sottotono senza particolari controindicazioni. Sicuramente nessuno disdirà il proprio abbonamento per un prodotto non al livello dei precedenti.

Quello che ci aspettiamo da Netflix è la qualità, sempre e comunque. Luke Cage non è di certo una brutta serie ma non rispetta lo standard tracciato. Confidiamo, però, che non sia il primo indice di una parabola discendente, ma un semplice passo falso, un’eccezione che conferma la regola.

articolo di Carlo D’Acquisto

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