Luigi Tenco: quando brucia la passione esplode la luce

Luigi Tenco

Io sono uno che sorride di rado, questo è vero, ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre, però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro  (Luigi Tenco – Io sono uno)

E’ doveroso parlarne

Sono in pochi a conoscere Luigi Tenco e le sue canzoni, eppure, oggi, a pochi giorni dall’anniversario della morte, ci sembra doveroso parlarne. Era il 26 gennaio 1967 quando si tolse la vita (anche se vi sono dubbi al riguardo) in un Hotel di Sanremo. Per questa ragione esistono un Club e un Premio Tenco al Festival, ma senza dargli, a mio parere, la luce che meriterebbe. Si, perché Tenco fu innanzi tutto un artista autentico e rivoluzionario, che con i suoi brani, sinceri e quotidiani, ha modificato il corso della canzone italiana. E la musica, l’arte, per lui, sono state innanzitutto strumento di indagine del sentimento del suo tempo.

Chi è Luigi Tenco? 

Tenco nasce a Cassine, in provincia d’Alessandria, il 21 marzo del 1938. Fa parte, insieme a Fabrizio De André, Gino Paoli, Bruno Lauzi e Sergio Endrigo, della cosiddetta Scuola Genovese. Nel 1959 firma con la Ricordi, pubblicando sotto diversi pseudonimi: Gigi Mai, Gordon Cliff e Dick Ventuno, perché iscritto al Partito Socialista. Il grande pubblico lo apprezza con Mi sono innamorato di te, seguito dall’album omonimo Luigi Tenco. Seguono i successi con Lontano lontano e Ognuno è libero. Nel 1967 partecipa al Festival di Sanremo insieme alla cantante Dalida con la canzone Ciao amore ciao. 

Un artista nuovo

Luigi Tenco è stato il primo a distaccarsi dagli stilnovismi delle canzoni d’amore in voga fino agli anni ‘50. Quello che Tenco fa nei suoi testi è rivelare il ragionamento d’amore, il “non detto”, le dinamiche più profonde dei meccanismi del cuore. Lo fa mettendosi a nudo senza remore, partendo dalle aspettative, dalle delusioni, da sogni e paure, con un linguaggio schietto e quotidiano. Come vedremo più avanti, non erano tristi canzoni d’amore, quanto, piuttosto, fotografie delle parti più sensibili dell’animo dei ragazzi di allora. E, anche se è cambiata la società e il modo di relazionarsi di quelli di adesso.

Un uomo prima che un artista

Siamo prima del Sessantotto e Tenco non ha problemi a dire la sua riguardo le concezioni dell’epoca. Oltre all’arcinota Ognuno è libero, del 1966 che affronta lo stesso tema di Ma che colpa abbiamo noi dei Rokes, Tenco tratta tematiche sociali in diversi ambiti. In Uno di questi giorni ti sposerò attacca il matrimonio come vincolo indissolubile. Una brava ragazza va contro l’idea dell’epoca secondo cui gli uomini ne desiderassero una che andasse a letto presto. O ancora, In Vita familiare anticipa la tematica del divorzio e in Vita sociale (la ballata del progresso), si scaglia contro la corruzione e la furbizia all’italiana.

Contro le false promesse

Mette a tema le false promesse dell’autorità riconosciuta in Cara maestra, prendendo a emblema tre figure tipiche della provincia dell’epoca: il curato, la maestra e il sindaco. In Un prete in automobile, indaga sui confini tra il pensiero nobile di chi è riconosciuto portatore di valori sociali e la praticità del pensiero della gente comune. In Giornali femminili, invece, ride dell’idea secondo cui le donne fossero interessate solo a futili problemi e non a: 

trasformare la scuola, abolire il razzismo, proporre nuove leggi, mantenere la pace”.

Ancora, in Hobby, parla di chi, avendo la possibilità di studiare, non ama ciò che studia, mentre c’è chi è costretto a lavorare e coltivare le sue passioni nel tempo libero. Sono brani ironici, interpretati spesso in modo molto teatrale. Ne La ballata della moda, ad esempio, scrive del meccanismo che convince la gente ad agire secondo le pubblicità convinta di farlo per volontà e gusto. Non è tutto. Ne La ballata dell’arte, dibatte il legame, inscindibile, tra arte e società, scrivendo che dal mito del Superuomo di Nietzsche si è passati al mito dell’introverso. Una dichiarazione di politica poetica:

C’è chi dice che l’arte

non ha rapporti con la società,

per cui l’artista vero

non si occupa mai

di problemi sociali,

lui si sente isolato,

chiuso in problemi intimi,

problemi che coinvolgono

la personalità.

C’è chi dice che l’arte

non ha rapporti con l’uomo comune,

per cui l’artista vero

non può usare un linguaggio capito da tutti,

anzi, meno comune

sarà il linguaggio usato,

tanto più verrà a galla

la personalità.

Ma c’è invece chi pensa

che l’arte ha un

suo rapporto

con la società,

visto che il nostro artista

assomiglia all’uomo tipico del nostro tempo,

soffre anche lui di un male

purtroppo assai diffuso,

che ogni volta ritorna

portando un nome nuovo:

ieri era il Superuomo,

adesso è l’introverso,

comunque è sempre il mito

della personalità

Al di là del sentimento

E’ proprio la personalità, con i suoi conflitti e le sue dinamiche interiori, che Tenco, indaga a partire dal suo primo campo d’azione: le relazioni. In maniera appassionata, svestendosi di ogni corazza e concedendosi completamente. Egli riesce a fotografare il momento in cui il progetto del singolo perde di vista sé stesso e lascia che il sentimento lo travolga. Quel momento in cui “ti senti più grande del mare e ti senti ancor meno di niente”, come scrive in Ah…L’amore, l’amore del 1964.

Un tema vivo in ogni relazione di ogni epoca. Tenco ci invita ad accogliere questo sentimento a braccia aperte, a cuore aperto, senza strategie. In  Se sapessi come fai, infatti, invita a mettere da parte ogni tipo di tattica in amore. Egli riesce, con un linguaggio colloquiale e quotidiano, a ragionare profondamente sulle dinamiche dei sentimenti. Non si limita a parlare romanticamente di quanto soffre o di quanto gioisce per amore: 

Se sapessi come fai 

a fregartene così di me 

se potessi farlo anch’io 

ogni volta che tu giochi col nostro addio 

Vedrai, vedrai

Quando parliamo d’amore in Luigi Tenco, non parliamo di sdolcinate disillusioni o amori impossibili. Per Tenco l’amore è la passione di essere fino in fondo dentro alla cose. Di scoprire se stessi in quelle cose. Ma Tenco, non essendo un disilluso, ritiene che sia inutile continuare ad abbandonarsi a fragili Vedrai, vedrai. E’ questo, infatti, il titolo di uno dei suoi brani più famosi, pubblicato nel ’65 e ripubblicato nel ’66. Il protagonista ripete, cinicamente, il consiglio che gli danno le persone accanto a lui, “vedrai che cambierà”, preferendo invece essere rimproverato per la sua inconcludenza:

[…]

preferirei sapere che piangi 

che mi rimproveri di averti delusa 

e non vederti sempre così dolce 

accettare da me tutto quello che viene 

mi fa disperare il pensiero di te 

e di me che non so darti di più 

vedrai, vedrai 

vedrai che cambierà 

forse non sarà domani 

ma un bel giorno cambierà 

vedrai, vedrai 

no, non son finito sai 

non so dirti come e quando 

ma un bel giorno cambierà

Sembra quasi un sussurro. Il suo cruccio di figlio era quello di aver rincorso la vocazione artistica, abbandonando la strada sicura. Eppure, una madre non può far altro che sostenere e accompagnare i desideri del figlio, pur non comprendendoli. Dallo sconforto con cui viene intonato il ritornello sembra evidente come emerga questa consapevolezza. Consapevolezza del fatto che la prima rivoluzione da fare è quella su di sé, che il cambiamento parte da noi e non da altro o altri. Se Tenco fosse stato triste e depresso, non sarebbe mai riuscito ad analizzare così intimamente un tale sentimento di abbandono e speranza al tempo stesso!

 

Un giorno dopo l’altro

Il tempo non guarisce le ferite e nulla al mondo può colmare a pieno il desidero infinito dell’animo umano. A tutte le età quel desiderio resta lo stesso. E se c’è qualcosa che accomuna Tenco a Pavese, non è certo la biografia, quanto la precoce maturità della profondità del suo pensiero. L’attenzione, cioè, ad un’indagine delle dinamiche che investono l’individuo nella realizzazione di sé nella realtà. C’è un bisogno più grande di noi che sentiamo incapaci di soddisfare, ma che si ripresenta puntuale Un giorno dopo l’altro: 

E gli occhi intorno cercano 

quell’avvenire che avevano sognato

ma i sogni sono ancora sogni 

e l’avvenire e’ ormai quasi passato

Lontano, lontano

Lontano, lontano è forse la canzone più celebre di Luigi Tenco, con sonorità e ritornello molto pop. E’ un brano che lascia apparentemente intravedere la fine di un amore importante. Il brano fu dedicato a Valeria, la sua ragazza dell’epoca che, incinta di Luigi, perderà il bambino in un incidente. A dimostrazione di quanto Tenco conoscesse la musica e la cultura, la fase iniziale del brano, riprende la Sonata 14 (Al chiaro di luna) di Beethoven. Inoltre, il soave coro femminile a inizio brano interpreta vocalmente una figura femminile evanescente che si disperde fra spazio e tempo. 

 

La parola “lontano” è frequente nei testi di Tenco assumendo un valore più ampio di una dimensione spazio-temporale. E’ un’eco, una risonanza interiore al limite tra impossibilità e speranza. E’ la tensione verso qualcosa a cui si apparteneva ma che non si riesce a ritrovare. Ad esempio In Qualche parte del mondo (dove fuggire lontano/dalla mia vita di sempre) o in Ragazzo Mio (Non metterti a sognare/Lontane isole/Che non esistono). O ancora in Un giorno dopo l’altro (La nave ha già lasciato il porto/E dalla riva sembra un punto lontano) e per finire, in Ciao, amore ciao (Andare via lontano/Cercare un altro mondo).

Un uomo prima che artista

Tenco era un uomo, prima che un artista, che si lasciava assorbire da tutte le circostanze della vita. Qualcuno che non esitava a mettersi e mettere in discussione, nei rapporti e nella vita in generale. Il viaggio di Tenco tra amore e società è, soprattutto, un viaggio sensibile dentro e fuori di sé. Tanto, che da Una vita inutile e Io sono uno, un vero manifesto del suo pensiero, passa a chiedersi Come mi vedono gli altri, un ragionamento su come sarebbe potersi osservare dall’esterno: La mia paura è che a vedere me come sono, io potrei rimanere deluso”. Ma non è così. 

 

Differentemente da Rino Gaetano e le sue denunce sociali veicolate da testi leggeri, Tenco effettua un processo simile. Non punta il dito e non denuncia nessuno, ma dietro i suoi testi, semplici e chiari, si nascondono tematiche profonde. Non a caso il grande pubblico di allora non le riconobbe, fermandosi alla facciata della canzone d’amore. In molti hanno riproposto in Tv i suoi successi, ma è ancora sconosciuta ai più l’essenza profonda della sua passione. Tenco invita a riconoscere la vulnerabilità del proprio animo e ascoltarne la voce. E’ questo, forse, il presupposto per poterlo apprezzare davvero.

Curiosità sulla morte 

Restano irrisolti molti quesiti sulla morte di Luigi Tenco. La pistola con cui si è suicidato, ad esempio, non era la stessa che aveva con sé. Stando al foro d’entrata, inoltre, avrebbe dovuto sparare con la sinistra, ma Tenco non era mancino. Chiamando la sua ex fidanzata, Valeria, poco prima di morire, Luigi riferiva la volontà di denunciare un giro di scommesse clandestine sulle canzoni di Sanremo. Dopo la riesumazione della salma, nel 2006, sono stati trovati segni di colluttazione al volto e alla nuca. Inoltre il biglietto d’addio non risulta autografo in tutte le sue parti. Speriamo non rimanga l’ennesimo triste mistero italiano.

Enrico Marcucci
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