Finirà oggi pomeriggio con l’annuncio ufficiale la leadership di Luigi Di Maio nel Movimento 5 Stelle.
In un partito che decide i propri rappresentanti con il televoto o in alternativa con investiture divine non è affatto detto che sia per sempre, e non è neppure detto che la nuova forma di direzione che il M5S assumerà non sarà peggiore della monarchia del Re Travicello ma dovremmo tutti, simpatizzanti e oppositori, tirare un sospiro di sollievo.
Rimangono i cocci di un non-partito che vaneggiando di “né destra né sinistra” ha dissipato la propria preziosa energia inseguendo un potere che non era pronto ad assumere, e le prove non sono le cento decisioni scellerate ma quelle poche giuste, dilettantesche e raffazzonate come il Reddito di Cittadinanza.
Capiremo presto che faccia avrà il partito dimezzato lasciato da Di Maio, potrà sostenere il centrodestra o il centrosinistra ma certamente non potrà continuare ad essere l’accozzaglia populista senza arte né parte che lo ha portato ad un passo dall’autodistruzione.
Senza darmi arie da politologo o chiaroveggente, sapevo che sarebbe finita così dall’Aprile del 2017, da quei post e dichiarazioni dove Luigi Di Maio definiva i soccorritori del Mediterraneo “taxi del mare“.
Un’espressione troppo stolida, cattiva e inconsistente per non incrinare irrimediabilmente un movimento che aspirava al bene collettivo e non alle ipocrisie del sottogoverno.
Mario Piazza