Al cinema l’ultimo film di Polanski sulle indagini dell’ufficiale Picquart e l’impegno di Zola per scagionare il capitano Alfred Dreyfus, accusato ingiustamente di alto tradimento.
L’ufficiale e la spia è l’ultimo film di Roman Polanski, dal 21 novembre nelle sale italiane. Tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, ripercorre il calvario verso la libertà di un ufficiale ebreo accusato ingiustamente di un crimine contro la propria patria.
L’origine della vicenda.
Il 26 settembre 1894 i servizi segreti francesi ricevettero una nota anonima trafugata dal cestino della carta straccia dell’ambasciata tedesca. Questa lista, chiamata in seguito “bordereau”, conteneva la proposta di vendita di 5 documenti militari segreti alla parte nemica, riguardanti cannoni e mobilitazione delle truppe. Il responsabile sarebbe stato da cercare tra i maggiori che avevano servito la sezione artiglieria. L’ambiente militare francese del XIX secolo era particolarmente turbolento e impegnato ad ottenere a qualsiasi costo una schiacciante vittoria nel conflitto Franco-Prussiano.
Alfred Dreyfus: unico indagato e colpevole.
I sospetti caddero subito sull’ufficiale Alfred Dreyfus, ebreo e alsaziano, che dopo il cambio di bandiera della regione natia, decise di ottenere la nazionalità francese per dedicarsi alla carriera militare.
I suoi sogni di rivincita contro l’impero tedesco si infransero il 15 ottobre 1894. Convocato dal capo di Stato Maggiore, gli venne subito intimato di scrivere una lettera sotto dettatura. Poche righe bastarono alla perizia calligrafica per accusarlo di alto tradimento e arrestarlo. In una Francia in cui i sentimenti nazionalisti erano ormai radicati da tempo, Dreyfus era il colpevole perfetto. Fu infatti dichiarato tale, degradato ed imbarcato per la colonia penale dell’Isola del Diavolo nella Guyana Francese.
La svolta nelle indagini e la mobilitazione degli intellettuali.
Con il colonnello George Picquart a capo dello spionaggio militare, il caso ebbe una svolta. I suoi agenti intercettarono una lettera dell’ufficiale tedesco Schwartzkoppen al maggiore francese Esterhazy. Questo bastò per un riesame del dossier Dreyfus. Picquart notò subito la sorprendente somiglianza tra la calligrafia di Esterhazy e quella del bordereau.
Tuttavia i suoi superiori zittirono immediatamente questa rivelazione con la rimozione del colonnello e la sua spedizione in Africa. Egli però riuscì tempestivamente a diffondere le informazioni, coinvolgendo Bernard Lazare e Émile Zola.
Il 13 gennaio il giornale L’Aurore recava in prima pagina una lettera aperta di Zola al presidente della Repubblica, intitolata “J’accuse”. Ben presto l’opinione pubblica si divise in “dreyfusards” tra cui moltissimi intellettuali , che lanciarono una petizione per contrastare le diffamazioni antisemite degli “antidreyfusards”.
Il colpo di scena e la grazia.
Nel 1898, sotto la grande pressione mediatica, gli accusatori di Dreyfus ammisero la falsificazione delle prove e anche Esterhazy confessò di essere l’autore del bordereau. Finalmente nel settembre 1899, Alfred Dreyfus venne graziato dal Presidente della Repubblica, ma fu riabilitato solamente nel 1906.
L’ufficiale e la spia, porta in scena una vicenda storica di intolleranza, un monito necessario per il presente. Ne sono recente dimostrazione le profanazioni di cimiteri ebraici in Danimarca, le aggressioni a studenti ebrei in Germania e ancora le minacce alla sopravvissuta ai campi di sterminio Liliana Segre. In una società che si dichiara evoluta, la brutalità dell’antisemitismo è ancora una minaccia pericolosamente concreta.
Anna Barale