L’annuncio della chiusura della procedura dell’articolo 7 contro la Polonia sullo Stato di Diritto da parte della Commissione Europea segna un momento significativo nella storia del paese e delle relazioni tra Varsavia e l’Unione Europea. Dopo sei anni di tensioni e dibattiti sullo Stato di diritto, la decisione di chiudere la procedura rappresenta una svolta importante, sia per la Polonia che per l’intera Unione Europea. Secondo le dichiarazioni della Commissione infatti, “non esiste più un chiaro rischio di una grave violazione dello stato di diritto in Polonia”. Il primo allarme, lanciato nel 2017 per denunciare l’attacco ai diritti umani, è stato quindi ritirato nelle ultime ore di oggi: l’Unione Europea aveva invocato l’articolo 7 contro la Polonia e l’Ungheria per la violazione dei diritti fondamentali.
Una svolta per la Polonia: chiusura della procedura dell’articolo 7
La Commissione Europea ha annunciato oggi la chiusura della procedura dell’articolo 7 contro la Polonia, dopo sei anni dall’avvio del procedimento. Questa decisione segna una svolta significativa per il paese, che ora può essere svincolato dai limiti imposti dalla cosiddetta “opzione atomica” – cioè l’intervento delle istituzioni e degli organi comunitari in situazioni di grave lesione.
La procedura dell’articolo 7 era stata aperta nel dicembre del 2017 e l’allarme si riferiva a diritti violati in materia giurisprudenziale: in particolare, in Polonia erano state varate delle leggi che limitavano fortemente l’indipendenza e il corretto funzionamento della magistratura. La Commissione, al tempo, era preoccupata circa l’influenza politica in materia giudiziaria, in seguito a nuove leggi varate per limitare il mandato dei giudici e riformare il sistema.
Il pericolo di violazione dello Stato di Diritto della Polonia era però già iniziato nel 2015, quando la situazione era preoccupante e l’UE ha iniziato a monitorare il paese senza ricorrere all’articolo 7. Decise quindi di adottare uno strumento informale e formulare il nuovo quadro sullo stato di diritto riguardo alla Polonia. In questo modo avrebbe potuto formulare una raccomandazione o misure alternative preliminari per evitare l’attivazione dell’articolo 7 contro la Polonia. Questa fase filtro durò due anni, fino alla reale attivazione dell’articolo 7 nel 2017, e comprese più di quattro raccomandazioni sul mandato dei giudici costituzionali.
Il contesto dell’articolo 7 contro la Polonia
L’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea – TUE – permette al Parlamento di richiedere alla Commissione di avviare indagini relative allo stato di diritto in un paese membro che presenti rischi di violazione delle libertà democratiche garantite dall’Unione. Questo può portare alla temporanea perdita dei diritti comunitari del paese coinvolto, come ad esempio il diritto al voto.
Secondo la legge europea, gli Stati comunitari, sebbene in pieno potere nazionale, sono comunque chiamati, secondo l’articolo 46 della Carta dei Diritti Fondamentali, ad applicare le norme europee. Questo significa che non ci deve mai essere un’antinomia tra il diritto interno e quello comunitario. Nel caso della Polonia, l’articolo 19 del TUE sull’imparzialità dei giudici è stato violato da una norma costituzionale polacca.
Dopo il 2017, i rapporti tra Polonia e Unione Europea si sono complicati, fino a quando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha deciso di multare la stessa Polonia con un milione di euro al giorno. Nonostante la grande diaspora, tanto politica quanto economica, l’articolo 7 contro la Polonia non ha mai avuto un grande effetto: affinché entri in vigore nei confronti di un determinato paese, è richiesta l’unanimità degli Stati membri, a cui però non si è mai arrivati.
Il caso chiuso della Polonia
Nonostante i forti dubbi sul passato circa le leggi sulla magistratura, la Commissione ha annunciato oggi la chiusura della procedura grazie alle misure adottate dal nuovo governo guidato da Donald Tusk per ripristinare l’indipendenza della magistratura.
La decisione ha portato soddisfazione nelle aule comunitarie, con la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, che ha annunciato “un nuovo capitolo per la Polonia”. La decisione sarà valida a tutti gli effetti nel corso di questo mese, dopo che tutti gli Stati membri avranno convalidato la chiusura della procedura.
“Dopo più di sei anni, la procedura dell’articolo 7 può essere chiusa. Mi congratulo con il Primo Ministro Donald Tusk e il suo governo per questo importante passo avanti”. Queste sono le parole di Von Der Leyen nei confronti di Tusk. Il presidente polacco si è fermamente impegnato a osservare le sentenze della Corte europea, riportare in auge l’indipendenza della magistratura e sopratutto calibrare in maniera equilibrata e rispettosa il diritto internazionale e comunitario con quello nazionale. Varsavia ha infatti riconosciuto il primato del diritto dell’Unione europea e si è impegnata ad attuare le decisioni dei tribunali europei.
Il ruolo della Commissione
La Commissione ha informato il Consiglio e il Parlamento europeo della sua valutazione e della sua intenzione di ritirare la proposta motivata a partire dal 2017, chiudendo così la procedura dell’articolo 7 contro la Polonia. Inoltre, l’Unione Europea è in procinto di sbloccare i fondi comunitari che saranno concessi alla Polonia come prestiti e sovvenzioni. Attualmente, la procedura rimane aperta solo nei confronti dell’Ungheria.
Come nel caso della Polonia, anche la procedura dell’articolo 7 contro l’Ungheria rimane aperta e irrisolta: sebbene a livello teorico e giuridico sia uno strumento efficace per garantire il rispetto dei diritti umani, il più delle volte si dimostra una procedura troppo complessa e lunga. Inoltre, come il caso della Polonia ci ha insegnato, si tende a dimenticare le potenziali lesioni dello Stato di diritto degli anni passati, nel momento in cui la procedura dell’articolo 7 viene chiusa.
L’attivazione dell’articolo 7 è una procedura potenziale, ma l’UE, prima di ricorrere all’allarme, tende sempre a sondare il territorio attraverso altre forme di controllo più “moderate”. Oltre all’attivazione dell’articolo, è necessaria però anche l’unanimità dell’intero Consiglio Europeo che constati la reale violazione dello Stato di diritto in relazione all’articolo 2.
La reazione internazionale
La chiusura della procedura dell’articolo 7 contro la Polonia ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale. Mentre alcuni hanno accolto con favore il passo avanti della Polonia verso il rispetto dello stato di diritto e dei valori democratici europei, altri hanno sollevato dubbi sulla reale efficacia delle misure adottate e sull’impatto a lungo termine sul sistema giudiziario del paese.
Questa decisione segna un importante passo avanti per la Polonia e riflette i suoi sforzi per ripristinare lo stato di diritto nel paese. La Commissione si è congratulata con Varsavia per il suo impegno e ha sottolineato l’importanza di mantenere e difendere i valori democratici dell’Unione europea. Resta ancora molto lavoro da fare per garantire che le riforme siano pienamente attuate e che il rispetto dello stato di diritto diventi una realtà duratura in Polonia.