Non c’è impresa nella storia del cinema paragonabile a quella di Charlie Chaplin in Luci della Città. L’artista inglese in bombetta scrisse questa storia nel 1928 e investì in questo sogno fino all’ultimo centesimo.
Il film, da lui scritto, diretto e interpretato impegnò il set, gli attori e la troupe per una durata di tre anni, durante i quali furono girati fino a 100 chilometri di pellicola. L’artista, inoltre, per assicurarsi l’indipendenza artistica, finanziò ogni ritardo di tasca sua.
Nonostante le difficoltà – o forse grazie ad esse – un film destinato in tragedia si trasformò nel capolavoro simbolo del cinema muto.
Luci della città. La trama
Nel 1928 Charlie Chaplin scrive il soggetto di Luci della città e dà il via alla costruzione dello scenario.
Il film mette in scena la storia di Charlot, un senzatetto figlio della grande depressione, che un giorno si imbatte in una fioraia cieca.
La ragazza, vittima di un equivoco, lo crede un ricco imprenditore e, affascinata dal suo buon cuore, ci instaura una tenera amicizia. Dopo varie peripezie, Charlot conosce un uomo ricco, depresso e lunatico che, in un momento di ebbra generosità, gli dona una grossa somma di denaro. Lui, invece di impiegarla per risollevare la sua condizione, la dona alla fioraia per l’operazione che le darà la vista.
Charlot viene arrestato e, una volta libero, torna sulla strada, ancora più povero e con un aspetto ancora più misero. Viene maltrattato da alcuni ragazzini sotto gli occhi della fioraia, ormai guarita. Intenerita da questo clochard impacciato, dapprima gli offre la carità, ma poi lo riconosce. La donna, spiazzata e commossa, scopre così che l’uomo che le ha fatto il dono più grande della sua vita, in realtà, non possiede niente.
Il contesto
Nel biennio in cui il film di Chaplin prendeva vita, avvennero due eventi che ne segnarono il destino: la borsa di Wall Street crollò e uscìThe Jazz Singer, un film banale che però possiede una novità assoluta: il sonoro.
Charlot si dichiarò estraneo alla novità del parlato e per nulla disposto ad abbandonare la tradizione del muto: nato e cresciuto con la pantomima, riteneva che il dialogo fosse superfluo, se non inutile, ad un’arte scenica come quella del cinema. Il personaggio, per Chaplin, non poteva esprimersi a parole come gli uomini, poiché egli è pura idea, astrazione comica.
Gli Stati Uniti e l’Europa brulicavano di mani tese per la fame e le strade erano gremite di disoccupati in finanziera che affollavano i cinema alla ricerca di distrazioni e speranza.
La realizzazione
Il film fu scenario di guerra e abbandoni: 3 anni di realizzazione, 100 chilometri di pellicola e un’unica scena girata 342 volte. Charlie Chaplin in questo progetto invecchiò a tal punto da essere costretto ad indossare una parrucca nera per nascondere i capelli bianchi e mantenere l’aspetto originale del suo Charlot.
Distrusse relazioni decennali, come quella con il suo amico e partner Henry Clive, il quale impersonava l’uomo ricco del film e che venne licenziato in tronco dopo essersi rifiutato di entrare in una vasca di acqua gelata. Chaplin lo sostituì rigirando tutte le scene e allungando il lavoro di ulteriori sei mesi. Simile sorte toccò alla protagonista femminile, Virginia Cherrill, licenziata e ripresa dopo pesanti umiliazioni in condizioni di lavoro estenuanti.
La scena maledetta
L’ ossessione per Luci della città era soprattutto legata alla scena chiave del film, quando la fioraia cieca scambia Charlot per l’uomo ricco a cui aveva poco prima dato un fiore. Questo scambio tra il vagabondo ed il ricco magnate è l’equivoco su cui si poggia tutta la sceneggiatura e richiedeva un delicatissimo equilibrio narrativo. Ma nonostante gli sforzi, la scena non funzionava. Uno dopo l’altro, i collaboratori lasciarono il set, devastati, e solo pochi riconoscevano in quell’ometto l’artista di Kennington che aveva fatto sognare il mondo.
Il debutto
Chaplin era ormai lo spettro di se stesso quando finalmente il film fu ultimato. Fallì la prima a Los Angeles e si ritrovò costretto a portare da solo la pellicola a New York, privo di qualsiasi sostegno da parte della produzione. Contro tutti e mosso solo dai suoi valori, proiettò la prima nel carcere di Sing Sing per un pubblico di condannati, offendendo il fior fiore della società newyorkese, che lo aspettava a gloria.
Contro ogni previsione, il successo che seguì Luci della città fu grandioso. Tutti erano commossi da questo clochard che rappresentava la condizione di miseria in cui verteva l’umanità.
Il finale delicato e privo di alcuna retorica resta ad oggi insuperato per la sua drammaticità.
Volevo rappresentare un qualunque uomo […] di un qualunque paese del mondo, che aspirasse alla dignità.
Charlie Chaplin
Luci della città resta ad oggi tra i cento film protetti e amati di tutti i tempi, insieme ad Il Monello e Il Grande Dittatore.