La luce che entra
Parlavo con un mio amico in quarantena a casa per il Covid-19, niente di nuovo rispetto a ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due anni. E una foto che ha pubblicato mi ha riportato ad altre che avevo già visto, in evidente discontinuità rispetto alla vita precedente la pandemia: i social, dal primo lockdown in poi, sono stati costellati da fotografie di finestre aperte, accostate, chiuse fino a lasciar entrare un’unica fascia verticale di luce, come nel caso specifico da cui nasce la mia riflessione.
Per chi si è appena svegliato, normalmente, è la luce di tutto ciò che c’è al di fuori e che ci aspetta con l’inizio della propria giornata; ma chiacchierando con chi queste foto le ha fatte durante un periodo di quarantena o di lockdown, l’interesse per l’esterno rimaneva limitato. L’attenzione, in quel momento, era rivolta verso l’interno, verso gli effetti che la luce creava entrando nella propria stanza.
Le “zip” di Newman
Quanto appena detto mi ha fatto pensare ai quadri di Barnett Newman, alle sue “zip” entro le campiture di colore che lui stesso ipotizza di aver immaginato la prima volta come strisce luminose. E queste bande verticali cosa fanno? Ancora guidati dalle parole dell’autore stesso, di sicuro non interrompono, non suddividono il quadro, ma lo completano nel suo proporsi allo sguardo dello spettatore; l’attenzione di Newman è quindi verso la totalità dell’esperienza visiva che le sue tele forniscono a chi si pone davanti ad esse (Argan la definirà un’assoluta ed esclusiva “visività” dell’opera, parlando dell’autore americano e accomunandolo in ciò ad altri personaggi fondamentali della seconda metà del ‘900 americana come Noland e Kelly). Questo porta le sue opere a non poter essere delle finestre, a non garantire un’apertura verso qualcosa oltre la superficie; ma a proiettarsi integralmente nell’ambiente dello spettatore.
La foto dell’isolamento
E proprio in questa direzionalità che si può trovare l’inversione visiva di cui il dispositivo-finestra è stato soggetto, a seguito delle disposizioni rese necessarie dalla pandemia. Per giorni, settimane, la finestra non è stata più l’apertura verso il mondo esterno; ma solo lo spazio di maggiore criticità del limite rispetto un fuori da cui ci siamo reclusi, un altro da noi che abbiamo sentito come mai prima invasione del nostro spazio personale. Quelle lame di luce quindi, come in una zip di Barnett Newman, hanno completato la visione della finestra chiusa e fornito, a chi non poteva muoversi di casa, la rappresentazione stessa della propria esperienza di isolamento, congelata in una foto.
I nuovi inizi, per Newman e per noi
Allo stesso tempo le zip di Newman, penso come opera esemplare a “The Promise” del 1949, ci illuminano sulle possibilità dei nuovi inizi nel loro distinguersi dal buio che tanto ricorda la foto del mio amico. L’artista, esponente della corrente dell’Espressionismo astratto e rientrante nella Scuola di New York, pensa in quel periodo alla seconda guerra mondiale; ma occasioni più o meno manifeste e collettive sono alla base di ognuna delle nostre vite.
Giacomo Tiscione