L’ozio al tempo dei vizi: come e quando “l’utile far niente” degli antichi greci si è trasformato in uno dei vizi capitali dei nostri tempi.
Si dà il caso, ma forse non è un caso, che l’ozio sia il padre dei vizi. Verità da difendere o mito da sfatare?
Gli antichi, sull’ozio, hanno pensato tanto, e soprattutto grazie all’ozio hanno scritto, tanto e bene. Uno stato di ozio felice e spensierato sarebbe forse la pillola che Aristotele proporrebbe come rimedio alla nevrastenia dilagante dei giorni nostri. Ma andiamo con ordine. L’argomento infatti è di quelli che scomodano il mos maiorum.
L’ozio al tempo dei vizi, secondo gli antichi.
Non bisogna andare lontano, geograficamente parlando: la Grecia, oggi come ieri, ha sempre fornito importanti spunti di riflessione sul “dolce far niente”. Probabilmente Aristotele non si riferiva alle spiagge di Mykonos infatti, ma il filosofo e tutti gli antichi greci disprezzavano il lavoratore, che costretto a sudare non aveva il tempo di nobilitarsi attraverso la riflessione. Per i romani il lavoro era invece letteralmente una negazione dell’ozio: il negotium. L’ozio di Seneca era condizione necessaria della vita del saggio, per fuggire alla corruzione della società. Cicerone lo considerava invece caratteristica dell’uomo libero, strumento di impegno civile e politico, conditio sine qua non dell’opera filosofica. Lontano quindi dalla piacevole sensazione del “dolce far niente”. Virgilio, a tal proposito, ha scritto:
I Greci nell’epoca del loro splendore non avevano che disprezzo per il lavoro, solo agli schiavi era permesso di lavorare: l’uomo libero conosceva esclusivamente gli esercizi ginnici e i giochi dello spirito. Era questa l’epoca in cui si viveva e si respirava in mezzo a un popolo di Aristoteli, di Fidia, di Aristofani;(…) I filosofi dell’antichità insegnavano il disprezzo per il lavoro, degradazione dell’uomo libero; i poeti cantavano l’ozio, dono degli dèi.
Ozio dunque, non inerzia. Che poi forse è la distinzione che fa la differenza. E smaschera la truffa. La grande truffa del nostro secolo.
L’ozio al tempo dei vizi, ai giorni nostri.
L’Italia si autoproclama repubblica democratica dal 1947, ma se è vero che la democraticità trova casa e radici lì dove a tutti è data la possibilità di accedere al mondo del lavoro, è anche vero che il lavoro l’uomo deve nobilitarlo e non distruggerlo. Ognuno ha poi i suoi ritmi e i suoi parametri di valutazione, ma probabilmente la libertà di oziare è sottovalutata. Riflettere come gli antichi greci, capire se la meta vale il percorso, prendersi il tempo di guardarsi negli occhi (nei propri e in quelli di chi abbiamo di fronte) per ritrovarsi.
Non eversione, ma evasione strategica, per mente, corpo e anima, da dosare in pillole prima di arrivare alla prescrizione medica. Alcuni sono portati per predisposizione naturale, per altri richiede una certa concentrazione, ma “Oziare con onestà” (usando le parole di Leon Battista Alberti) è un diritto. Difendiamolo , e rendiamolo un’arte. Sì dunque, anche ai perditempo, ma solo se realmente interessa(n)ti ad assaporare il gusto pieno della vita, parola di filosofo epicureo o, a scelta, di spot pubblicitario sull’amaro.
Emma Calvelli