Corazziere a cavallo, dottore dei poveri, scrittore, genio osceno e reietto, miserabile, anarchico, antisemita, fuggitivo: chi era Louis-Ferdinand Céline? Un po’ tutti.
Bistrattato tanto dalla destra quanto dalla sinistra e tacciato di collaborazionismo con il governo di Vichy e il Terzo Reich, l’autore del Viaggio al termine della notte e di Morte a credito crea scandalo e imbarazzo ancora oggi: quando Roberto Saviano nell’inverno del 2010 dichiarò in un’intervista a Panorama che i romanzi di Céline contribuirono alla sua formazione letteraria, certi intellettuali moralisti gridarono alla scandalo, compreso lo scrittore e giornalista siciliano Vincenzo Consolo.
Ma come può suscitare scandalo un vecchietto stralunato, zoppo e scorbutico, che nei giorni della liberazione di Parigi da parte degli alleati scappa in fretta e in furia dalla sua casa di Montmartre per raggiungere la Danimarca assieme al micetto Bébert e alla terza moglie Lucette? Può, eccome, suscitare scandalo!
Louis-Ferdinand Céline è stato uno scrittore scomodo, controverso, anticonformista, che più di ogni altro ha saputo descrivere la guerra con una prosa vaneggiante e corrosiva, che mescola l’argot con lo scritto e resta fedele a quello che i suoi stanchi occhi azzurri coglievano tra le macerie del novecento: follia, sangue, miseria e desolazione.
La sua opera è prima di tutto un lavoro di stile, fatto di ritmi appiccicosi e rocamboleschi, che risucchiano il lettore nell’inferno dei suoi feroci deliri: Céline suona attraverso le parole, storpia la sintassi tradizionale e ne rigurgita una nuova, fresca, il suo stile sciocca, disorienta e crea dipendenza con allucinazioni spiritose e grottesche. Proprio questo fa di Céline un nemico da odiare e malmenare: un dissennato per il quale provare disprezzo perché non si è in grado di eguagliarlo.
Non si è mai sazi di Céline e della sua Petite musique.
Jean-Paul Sartre e molti altri pensatori francesi conoscevano bene la potenza della sua melodia stilistica e ne erano irritati, quasi invidiosi, per questo hanno preferito gridare allo scandalo dopo l’uscita dei suoi pamphlet antisemiti e accusare Céline di collaborazionismo con i tedeschi, piuttosto che riconoscere nella totalità della sua opera i meriti e l’originalità di un messia che ha stravolto i canoni linguistici del proprio tempo, creando una forma alternativa di scrittura. Inavvicinabile, esplosiva, strampalata.
L’unica grande colpa di Céline: il dottore degli ultimi, lo scrittore nichilista che disgustava la guerra perché la vedeva sulla pelle dei feriti che curava ogni giorno, è stata quella di lasciarsi ubriacare dall’odio antisemita che montava in quel periodo. Una colpa ingiustificabile, abietta, ributtante. Certo! Eppure sufficiente a fare di un genio della letteratura contemporanea un mostro da non leggere?
Antonio Lorenzo Milo