Nei secoli, l’arte ha appoggiato la lotta al razzismo, al sessismo, all’oppressione religiosa; oggi è il momento della lotta al transfobismo
Nessuno di noi ammetterebbe mai di essere transfobico, perché in effetti ci sembra di non esserlo: nel senso che molti di noi non sparerebbero o picchierebbero un transessuale – per carità! Ma, nel momento in cui ci troviamo di fronte a un’immagine che evade dalla concezione strettamente binaria del genere, molti di noi la definiscono “di cattivo gusto”. O, ancora, molti di noi non trovano così necessario utilizzare il suono Schwa (ə) alla fine dei nomi e degli aggettivi per dargli un significato neutro al plurale.
Tutti questi atteggiamenti, in realtà, sono transfobici perché costringono la lotta al transfobismo al contesto dell’attivismo, della protesta formale e del privato, ma quando si fa spazio nella vita quotidiana, viene subito repressa, zittita. La normalizzazione passa soprattutto attraverso l’arte, di qualsiasi tipo, che tratta i temi più controversi: pensiamo ai disegni spiazzanti di Jole Signorelli, meglio conosciuta come Fumettibrutti, o al film Autlò, girato dalla regista regista russa Ksenia Ratushnaya.
In Russia c’è una legge che censura le opere d’arte, per “proteggere i minori dalle informazioni che promuovono i valori tradizionali della famiglia”
Il film russo Autlò parla di due storie intrecciate, quella di una donna transgender che vive in Unione Sovietica e di un ragazzo gay che vive nella periferia di Mosca. La donna è un’insegnante elementare, e solo una volta che è a casa a fare la doccia si scopre la sua identità, nessuno la conosce, nessuno è suo confidente.
Oltre al disagio sociale, c’è la solitudine che vivono le persone transgender, spesso impossibilitate a far entrare davvero nuove persone nella loro vita, a farsi conoscere. Il film è stato oggetto di minacce online, proteste dei cittadini, paure delle ripercussioni politiche. Così, per ottenere il permesso dal ministero della Cultura russo, è stato censurato.
In Italia non c’è ufficialmente una legge sulla censura, ma sembra che alcune immagini siano riconosciute all’unanime “di cattivo gusto“
Basti pensare alla reazione che ha scatenato la locandina creata dall’artista Jole Signorelli per il Lucca Comics & Games 2020. La locandina, che raffigura un’eroina molto femminile, con una tuta che lascia intravedere un pene, è stata investita da un’onda di commenti negativi e transfobici sui social. Ci sono anche dei commenti positivi, che ci ricordano che in realtà la locandina rappresenta qualcosa che dovrebbe essere scontato, e cioè che alcune donne hanno il pene.
L’immagine realizzata da Fumettibrutti per il Lucca Comics è sulla stessa linea del manifesto realizzato per il Festival Cheap a Bologna, dalla stessa artista insieme ad altre ventiquattro artiste donne: il tema de La lotta è FICA è stato il corpo, nudo, trans, eccentrico, e quindi l’abbattimento del potere sistemico che genera sessismo e razzismo. I venticinque poster affissi alle colonne dei portici bolognesi ci ricordano che
“Il dibattito sull’arte contemporanea è la decolonizzazione come pratica artistica.”
E, come ha detto Signorelli in un’intervista, non voler per forza piacere agli altri è un modo per dire “noi esistiamo lo stesso”, che è un po’ il principio alla base della rivoluzione dell’arte attuata da Picasso: anche se qualcosa viene percepita come brutta, non ha importanza, perché l’arte si svincola finalmente dall’obbligo di piacere.
Francesca Santoro