Ero già una piccola adulta e, entrando di soppiatto, come sempre, da gran timida, dentro l’Orangerie, l’occhio cadde su un manifesto così vivace da non poter non catturare la mia attenzione: “L’Ordine del Caos, Chaim Soutine”, un’estemporanea realizzata a partire da 22 opere, riunite dal collezionista e mercante d’arte Paul Guillame, al quale è da riconoscere il merito di aver portato allo scoperto un artista che, negli anni in cui le avanguardie scandalizzavano e tuttavia davano eco ad autori su autori, la cui vena espressiva aveva sempre una riconoscibilissima peculiarità, pur chiamandosi fuori da quel trend che vedeva spuntare fuori di anno in anno molteplici manifesti programmatici, rappresenta probabilmente al meglio, in una fase storica perfetta, la commedia umana, in maniera non soltanto esemplare, ma nella sua vivacità drammatica. Da qui il titolo, l’ordine del caos.
Un artista fuori dalle regole Chaim, un artista occultatore, un artista violento nell’uso dei colori e nella presentazione delle sue opere. Un artista diverso, da cui il titolo l’ordine del caos. E a me il titolo è rimasto ben impresso, sarà per quella strana ragione per cui non dimentichiamo mai qualcosa che ci colpisce in maniera così vivida, tanto da portare avanti di lì in p
oi la tesi per cui il caos è vero generatore di ordine, sulla quale considerazione potrebbero prendere il via speculazioni filosofiche del passato, del presente e probabilmente anche del futuro. Un riciclo nostrano delle teorie del big bang, potrebbe contestare qualcuno. Ma dubito questa sia la sede idonea per uno strano monologo dai motivi altisonanti e, cosa più importante, perderemmo il motivo alla base di questa lunga digressione, che non voleva essere un ricordo malinconico di una giornata al museo, ma la base di una considerazione che, timidamente e in sordina, contesta quel “pacifismo diffuso” e crede che in un momento estremamente caotico, forse occultare con dei colori vivaci sia la strada giusta per trovare un solido ordine.
Perché occultare, creare caos, manomettere il lieto scorrere della routine delle volte è ciò che serve, l’acqua fredda dritta in volto pronta a svegliare menti dormienti.
È un po’ il motivo per cui la decisione della casa editrice francese di non far uscire il libro “Il fascismo islamico”, di Hamed Abdel-Samad, quell’autocensura di fronte al terrorismo diffuso di matrice islamica e, in particolare, dopo gli attentati di Nizza, pesa più di un attacco stesso.
Pesa il terrore dell’editore, pesa la paura che un nuovo caso alla Charlie Hebdo possa capitare, pesa la rassegnazione e perdono significato tutti quei Je suis Charlie che tanto si fecero sentire a suo tempo.
Ma non è, il timore, l’incapacità di garantire sicurezza alla propria casa editrice ad essere l’unico motivo dell’inaspettata censura: vige al contempo un motivo culturale di particolare finezza, inaspettato e che potrebbe incontrare il consenso di molti e il dissenso di tanti altri, quale la volontà di non portare “altra acqua al mulino delle destre in Francia”.
Ora la domanda è, cosa c’entra uno scapestrato come Soutine, la cui fortuna è stata una vena artistica che supera il tempo con una censura?
Mi sono domandata, bando alla prima motivazione, quanto fosse giusto censurare quel testo del politologo egiziano per cui “l’estremismo risale a Maometto, ma non ogni musulmano è un Corano su due gambe e ancor meno un killer” per il terrore populista, per la mobilitazione nazionalista, arrivando alla conclusione che la rinuncia alla conoscenza e all’informazione, non è mai la soluzione a un problema. Ed è probabilmente quel caos danzante, generato da un libro calzante a pennello una situazione di elevata tragicità, a poter riportare nella sua vivace descrizione fuori dagli schemi ad un punto d’incontro le masse.
Quando nel 2006 uscì Gomorra, Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, il primo libro di Roberto Saviano, la violenta descrizione della criminalità organizzata, schietta e vivida per ciò che era, fece tremare la terra sotto i piedi ai più. Diventò a breve un caso mondiale, tradotto in ben 52 lingue, base per un film e una serie televisiva.
Delle volte è necessario semplicemente avere il coraggio di creare un po’ di caos per poter ritrovare l’ordine.
“Un caos dentro di sé per generare una stella danzante”, Nietzsche aveva scritto un po’ così.
Di Ilaria Piromalli