L’ora delle decisioni revocabili

L'ora delle decisioni revocabili

La resa incondizionata di Roma di fronte a Francia e Germania sull’approvazione del Patto di stabilità e crescita, rappresenta l’ennesimo dietrofront di un esecutivo che da 14 mesi vive perennemente nell’ora delle decisioni revocabili.

Per il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il nuovo accordo trovato dai 27 sul Patto di stabilità e crescita è “migliorativo per l’Italia rispetto al passato”, nonostante mantenga inalterata la rigida sostenibilità fiscale, come chiesto da Berlino, costringendo quei Paesi che come l’Italia hanno un enorme debito pubblico a manovre economiche lacrime e sangue nei prossimi anni.

Poco importa, dunque, se l’accordo europeo imposto dal solito asse franco-tedesco al resto dei membri dell’Ue strozzerà in futuro l’economia italiana portando tagli fino a 10/15 miliardi l’anno; nel Bel Paese si continua a  fissare il dito anziché la luna, servendo su un piatto d’argento all’attuale maggioranza la possibilità di continuare a collaudare l’arsenale di armi di distrazione di massa  a sua disposizione per nascondere le sistematiche disfatte in politica interna ed estera.

Strategia o propaganda?

Volendo fare un parallelismo con un periodo storico che sembra suscitare ancora oggi un certo entusiasmo tra alcuni esponenti nelle fila del governo, si potrebbe serenamente affermare che l’esecutivo a guida Meloni da 14 mesi ha scelto di vivere perennemente nell’ora delle decisioni revocabili.  Per capire il perché, basta osservare nel dettaglio la strategia scelta dal governo dei patrioti nel condurre i negoziati sul nuovo Patto di stabilità.

Per mesi, il Presidente del consiglio Meloni ha illustrato la suddivisione delle priorità dell’Ue parlando di «logica di pacchetto» non solo per quanto riguarda la ratifica del Mes ma anche in relazione al raggiungimento di un accordo sul Patto di Stabilità che avrebbe dovuto rendere l’Italia protagonista in Europa, come proclamato nel programma da Fdi.

In questo modo, Meloni da un lato ha creato un’aspettativa iperbolica su un ipotetico potere negoziale esclusivo di Roma nei confronti degli altri 27; ma dall’altro ha messo astutamente le mani avanti facendo intendere che le discussioni in corso in Europa sulle materie economiche e fiscali sono molto intricate e l’Italia da sola avanza rivendicazioni e proposte che altri paesi non vogliono accettare perché sono brutti e cattivi e proverebbero un piacere perverso a osteggiare il Bel Paese in ogni modo.


Al di là delle suggestioni, però, la realtà dice un’altra cosa: che la strategia di Meloni per i negoziati sul nuovo Patto di stabilità non sia stata capita fino in fondo nemmeno a Bruxelles. Infatti, invece di giocare di sponda e rafforzare l’asse con paesi come Francia e Spagna, ostili alle politiche della cosiddetta austerity, alla fine della fiera l’Italia si è vista riconoscere concessioni minime in termine di spesa per gli investimenti mentre sono aumentati i controlli del debito e del deficit, in sintonia con le richieste di Berlino. L’idea che la ratifica del Mes  potesse essere utilizzata da Roma per ottenere maggiori concessioni si è rivelata totalmente sbagliata.

 

Il sovranismo à la carte sui migranti

La débâcle europea del Patto di stabilità e crescita non è l’unica testimonianza del fatto che il governo Meloni si trovi sempre più a proprio agio a vivere nell’ora delle decisioni revocabili; sicuramente è quella che produrrà maggiori conseguenze nefaste per le sorti dell’Italia e degli italiani nell’immediato futuro, ma non certo l’unica.

L’archiviazione dell’uscita dall’euro, il rinvio a data da destinarsi del blocco navale che avrebbe dovuto spezzare le reni all’immigrazione, così come l’annuncio del taglio delle accise caduto nel vuoto, sono tutte proposte lanciate, propagandate e al momento opportuno revocate per essere sostituite con qualche altra idea bislacca utile soltanto a distrarre l’opinione pubblica.

Prendiamo, ad esempio, l’idea del blocco navale di fronte alle coste di Libia e Tunisia. La proposta è da sempre un cavallo di battaglia lanciato ciclicamente all’assalto delle maggioranze di ogni colore da Meloni, più o meno dal 2015 a oggi. Recentemente, l’idea a è tornata in auge il 22 marzo 2023 quando in un intervento alla Camera, all’indomani della tragedia di Cutro, il premier aveva agitato, in modo poco convinto, la clava di un blocco navale “in accordo con la Ue e i paesi del Nordafrica”.

In concreto, per affrontare l’emergenza migranti Meloni non ha imposto ovviamente alcun blocco navale, ma si è limitata a sfilare a Lampedusa su una passerella con la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per siglare nell’estate del 2023 un’intesa per la realizzazione di due centri per i migranti con l’Albania. Accordo, questo, che difficilmente andrà in porto (per il momento l’intesa è bloccata dopo l’intervento della Corte costituzionale albanese), ma che se dovesse concretizzarsi potrebbe portare nelle casse di Tirana 82 milioni di euro in 5 anni (rinnovabili di altri di cinque).

Meloni di lotta e mai di governo, nell’ora delle decisioni revocabili

La diatriba che si è scatenata in Italia dopo la mancata ratifica del fondo salva-stati, ma soprattutto dopo le dichiarazioni del Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti (“Non era aria per il Mes”)  è riuscita, nella sua asprezza, a fotografare perfettamente l’attuale situazione di difficoltà in cui versa il governo.

In politica, infatti, come in ogni aspetto della vita, non tutto è bianco o nero ma esistono tante gradazioni di grigio. E la voce fuori dal coro del Ministro dell’economia leghista sul Mes ne è la plastica dimostrazione. Nel mettere in luce l’atteggiamento di conflitto creatosi in seno alla stessa maggioranza, le parole di Giorgetti lasciano trasparire la strabiliante dimestichezza con cui questo esecutivo è stato in grado di passare rapidamente dal grigiore di una imbellettata razionalità da sfoggiare nei contesti seri e internazionali, al tifo più volgare e demagogico quando si è trattato di regolare questioni di politica interna.

Posizionarsi costantemente nell’ora delle decisioni revocabili, ha permesso al Premier Meloni di transitare da un estremo all’altro a seconda delle opportunità, mimetizzandosi astutamente nella lunga schiera di grigi che di volta in volta si veniva a formare.

Del resto, se si escludono le decisioni legate alla guerra in Ucraina e al conflitto tra Hamas e Israele, sulle quali l’Italia ha seguito la linea dettata dagli Stati Uniti e dalla Nato, in materia di politiche europee il governo Meloni si è sempre circondato di alleati piuttosto scomodi come l’Ungheria di Viktor Orbàn, attaccando invece Francia e Germania, e portando persino rancore personale per i rispettivi leaders: alla Conferenza internazionale su Sviluppo e Migrazioni tenutasi a Roma, Meloni pensò bene di non invitare il Presidente francese Emmanuel Macron in un momento delicato nelle relazioni tra Italia e Francia.

Quale Europa vuole Giorgia Meloni

Lo strappo politico consumatosi nel parlamento italiano con la mancata ratifica del Mes, ma soprattutto dopo l’accordo al ribasso strappato dall’Italia sul Patto di stabilità che apre al ritorno dell’austerità in un momento di grandi stravolgimenti sul piano internazionale, pongono una domanda su quale idea di Europa Meloni abbia in mente: se quella di un’Unione federale di stati come negli Usa o se, invece, il modello di riferimento sia un’Europa delle patrie, idea condivisa da alcuni membri come l’Ungheria e la la Polonia.

La risposta a questa domanda consentirebbe di definire una volta per tutte anche la posizione dell’Italia sulla riforma del voto a maggioranza qualificata pensata dall’Ue per disinnescare la vetocrazia dall’alleato sovranista di Meloni, Viktor Orbàn. 

Per il momento, però, l’Europa dei falchi tedeschi si è presa una grande rivincita, anche sull’Italia, in un momento in cui paradossalmente le banche tedesche non godono di uno stato di salute ottimale rispetto a quelle italiane. Ma, com’è noto, le decisioni di Bruxelles si ripercuotono sempre sui cittadini dei paesi membri. Nel caso specifico del nostro paese, gli italiani potrebbero toccare con mano gli effetti dell’austerity, già a partire dalla prossima finanziaria, quando  il sostegno economico del governo alle loro buste paga diminuirà inesorabilmente.

Tommaso Di Caprio

 

 

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