L’olivo in Palestina rappresenta molto più di una semplice pianta: è simbolo di forza e legame profondo con la terra. Le sue radici affondano nella memoria collettiva tenendola salda. Lungo i secoli, questa pianta è stata testimone della storia e della cultura di un popolo che, nonostante le difficoltà, resiste. Dalla raccolta al ricamo, fino all’arte e alla letteratura, l’olivo è parte integrante dell’identità palestinese.
«Se gli olivi conoscessero le mani che li hanno piantati, il loro olio diventerebbe lacrime»
Mahmoud Darwish
L’olivo in Palestina come simbolo di identità e appartenenza
L’olivo è una presenza millenaria nel paesaggio mediterraneo e un simbolo di pace per molti popoli. Per i palestinesi, tuttavia, rappresenta molto di più: è un elemento essenziale dell’identità nazionale. Non è solo la principale fonte di sostentamento economico e la base della cucina tradizionale, ma incarna anche un simbolo potente del legame radicato con la loro terra e della loro resistenza. Ogni pianta, tramandata di generazione in generazione, mantiene vivo il legame con gli antenati, custodendone la memoria.
Al’ors al Falastini: il raccolto delle olive come festa
In Palestina, il raccolto delle olive si svolge tra ottobre e novembre, dopo che le prime piogge hanno ingrossato i frutti. Questo evento, noto come al’ors al falastini (lo sposalizio della Palestina), è un momento di festa collettiva in cui amici e famiglie si riuniscono per celebrare. Come ogni ricorrenza festiva, è accompagnato dalla preparazione di piatti tipici, canti e danze che rinsaldano i legami comunitari e culturali.
La danza della terra: la dabka nelle tradizioni palestinesi
La dabka è la danza popolare che anima i giorni di festa, accompagnando momenti speciali come il raccolto, i matrimoni e le nascite. Questo ballo di gruppo prende il nome dal verbo arabo yadbuk, che significa “battere i piedi a terra”. I danzatori si dispongono in cerchio, battendo i piedi in un ritmo che varia al crescere e calare della musica, spesso con elementi di improvvisazione. La danza rappresenta simbolicamente l’amore per la terra e l’unione tra le persone, raggiungendo il suo culmine durante le celebrazioni del raccolto.
L’olivo in Palestina: base della cucina tradizionale mediterranea
La cucina mediterranea è rinomata per la sua autenticità e bontà e la tradizione culinaria palestinese ne è una parte essenziale. L’olio d’oliva e le olive sono ingredienti chiave di molte pietanze tipiche, dall’iconico hummus al pane taboon, fino ai dolci come l’hilbeh, una torta dolce e aromatica a base di olio d’oliva. Non tutte le olive, però, sono destinate a diventare olio: i piccoli frutti vengono spesso marinati e conservati in salamoia, arricchiti da un mix di erbe e spezie che varia da una regione all’altra.
L’olivo in Palestina non è solo per il cibo: il sapone di Nablus
Un altro impiego fondamentale dell’olivo è la produzione di sapone. Il Nablus, che prende il nome dalla città che per prima l’ha prodotto, è un tipico sapone a base di olio d’oliva, è vegano e idratante, e la sua preparazione può richiedere fino a un anno di lavorazione. L’industria del sapone in Palestina ha prosperato per secoli, esportando in tutto il Medio Oriente e in Europa, ma è stata gravemente compromessa dall’occupazione militare israeliana, che ne ha ostacolato la continuità e lo sviluppo.
Tatreez palestinese: il ricamo come patrimonio culturale
I rami d’olivo sono raffigurati anche nel tatreez, il ricamo tradizionale palestinese. Questa pratica artigianale, nata dalle mani delle donne dei villaggi, si è trasformata nel tempo in un simbolo di identità culturale, tramandato di generazione in generazione. Nel 2021 l’UNESCO ha dichiarato il ricamo palestinese patrimonio culturale dell’umanità, riconoscendone il valore universale. Difenderlo è una responsabilità collettiva.
L’arte dell’intarsio su legno d’olivo
Il legno d’olivo in Palestina diventa anche materia prima, medium attraverso il quale scolpire e intagliare sculture e utensili. È un legno duro e resistente, ma anche elastico e facile da lavorare. Conserva un aroma caratteristico e non richiede trattamenti chimici, poiché possiede una naturale resistenza ai parassiti. La pratica dell’intarsio su legno d’olivo ha avuto origine a Betlemme già in epoca bizantina ed è stata tramandata fino ai giorni nostri, portando avanti una tradizione artigianale profondamente radicata.
L’olivo in Palestina tra arte e letteratura
L’olivo (zaytun) vive anche nelle parole dei poeti, nella letteratura e nell’arte palestinese. È dopo la Nakba del 1948 che l’arte ha iniziato a farsi portavoce di un messaggio politico in Palestina, simboleggiando l’attaccamento alla terra, la resistenza e la ricerca di una pace da riconquistare.
Il tema dell’identità e del legame con il territorio è incarnato dalla pianta dell’olivo, una pianta resistente che può vivere per secoli, a volte anche per millenni. Sebbene disastri naturali possano danneggiare le chiome degli olivi, le loro radici rimangono saldamente ancorate alla terra, proprio come i palestinesi preservano la propria identità e cultura, resistendo a chi tenta di sradicarli. Le piante di olivo ricrescono anche quando tagliate, diventando così una testimonianza per le generazioni future, un collegamento eterno con i propri antenati parallelo all’arte che continua a raccontare storie di appartenenza e resistenza.
La forza dell’olivo in Palestina: metafora di forza e appartenenza per gli artisti
Le donne in abiti tradizionali, impegnate nella raccolta delle olive, sono tra i soggetti principali dei dipinti colorati di Sliman Mansour, un artista palestinese che rappresenta una figura chiave nella resistenza culturale del suo popolo. Le colline e le distese verdi di olivi sono protagonisti anche nelle opere di Nabil Anani, uno dei fondatori dell’accademia d’arte palestinese. Anani ha subito la censura militare ed è stato arrestato per aver utilizzato nei suoi lavori i colori della bandiera palestinese.
L’olivo testimone nella narrazione palestinese
L’olivo si fa metafora non solo nelle arti visive, ma anche in quelle che utilizzano la parola. Mahmoud Darwish, tra i poeti palestinesi più conosciuti al mondo, ha riempito le sue poesie di riferimenti alla pianta nazionale, dedicandole nel 1964 un’intera raccolta intitolata “Foglie di olivo”.
Più recentemente, Sami Hermez ha ricostruito la storia della famiglia di Sireen Sawalha in un libro che si colloca a metà strada tra documentario e romanzo: “My brother, my land” (ancora inedito in Italia) dove l’olivo e il momento del raccolto assumono un ruolo centrale nella narrazione, simboleggiando legami familiari e connessioni con la terra.
Lo stesso proposito è perseguito dal libro per bambini “These olive trees” scritto e illustrato da Aya Ghanameh. È il 1967 a Nablus, Palestina, e la protagonista vive in un campo per rifugiati circondato da alberi di olivo. Allo scoppio della guerra è costretta a fuggire, ma promette a se stessa che continuerà a prendersi cura di quegli alberi, come i suoi antenati prima di lei.
Anche l’audiovisivo utilizza l’olivo per consegnare il suo messaggio. Il documentario del 2024 “Dove piangono gli olivi” (Where olive trees weep) diretto da Maurizio e Zaya Benazzo racconta un viaggio nei territori della Cisgiordania, mostrando le vite dei palestinesi sotto l’occupazione illegale israeliana, concentrandosi sui traumi che questa comporta.
L’olivo in Palestina è memoria e identità da preservare
Non è un caso che i coloni nelle terre illegalmente occupate della Cisgiordania distruggano gli olivi secolari. Ogni atto di colonizzazione reca con sé l’atroce intento di sradicare un popolo dalla propria terra, non solo sul piano materiale, ma anche attraverso la distruzione e l’appropriazione della cultura e l’annientamento della memoria collettiva.
Se l’arte ha cercato per decenni di mantenere viva l’identità palestinese, ricordando ai figli della diaspora le proprie origini, la distruzione del patrimonio culturale da parte del governo israeliano si presenta sempre più come un piano sistematico di cancellazione.
Sono centinaia i siti culturali distrutti: archivi, musei, moschee, chiese, cimiteri, siti archeologici, costruzioni storiche. Un patrimonio che incarna la storia di un popolo, preservandone l’identità, è un pericolo per chi vuole colonizzarlo, per questo è necessario il genocidio culturale. Non è sufficiente annientare una comunità, bisogna cancellarne anche il ricordo. E cancellare le vite di chi d’arte e cultura, quindi di identità e memoria, si occupa. Fino a febbraio, i lavoratori della cultura uccisi sono stati 44. Oggi quel numero sarà drammaticamente aumentato.
Nella simbologia dell’olivo in Palestina c’è la storia di un popolo che, nonostante la brutalità di chi tenta di cancellarne le tracce, rimane ancorato alle proprie radici. Ogni ramo spezzato, ogni olivo abbattuto, è una ferita che, pur sanguinando, si trasforma in simbolo di resistenza. La cultura palestinese, come gli olivi che ricrescono, resiste e fiorisce, fino al giorno in cui, quegli alberi, simboleggeranno anche pace e giustizia.