L’odore agro dell’emarginazione

Dico a te, hai mai provato a sentirti emarginato? Sai cosa si prova?

Le sensazioni, gli odori…si, anche gli odori. Il tutto inizia da quella percezione di sudaticcio malsano che impasta ogni particella del tuo corpo, e che si trasforma man mano in un odore agro, pungente. Quando percepisci quello sguardo giudicante fin dentro le ossa. E non sai dove guardare, non sai dove stare. Le mani poi, in quei momenti, diventano così inopportune che non sai mai dove infilarle. Ma, più di tutto, senti crescere quel senso di colpa misto a paura che non sai bene da dove nasca, eppure, se ti guardano così, devono sicuramente avere ragione loro, tu sei sbagliato! E vorresti sparire, chiedere scusa per la tua esistenza, mentre dentro di te a ramificarsi un odio profondo, carico, silenzioso, come una mina pronta ad esplodere. Basta un nulla, e quell’odio scoppia, accendendone a catena altri mille, incendiando l’ingiustizia col fuoco della violenza, per sentirsi vivi. Odio per odio…

Il 22 Dicembre, passeggiando per le bellissime vie del centro vicino Piazza Garibaldi in quel di Parma, non ho potuto fare a meno di ascoltare un commento, che mi ha fatto accapponare la pelle, diretto ad un gruppetto di giovani neri che se la ridevano tra di loro senza dare fastidio alcuno.

Lui, un giovane attempato sui 50, classico prototipo di abbiente maschio bianco, traboccante di quell’innata alterigia nei confronti dell’altro, dice, rigorosamente in dialetto: “Un bel falò di tutte queste sanguisughe e sai come stiamo meglio”.

La sensazione di gelo è forte, tanto che mi blocca, non riesco a dirgli nulla, e questo mi fa ancora forse ancor più male di quel commento.

Torno a casa e, spulciando tra articoli sul web, la mia attenzione viene catturata dall’ Associazione Lunaria, che si occupa di promuovere la diffusione di una cultura fondata sulla garanzia dei diritti di cittadinanza e delle pari opportunità, attraverso campagne di sensibilizzazione, informazione, protesta e mobilitazione. Scopro inoltre che ha creato un database, Cronache di ordinario Razzismo, in cui sono stati documentati ben 7.426 casi di attacchi a sfondo xenofobo nei confronti di immigrati. Storie di ordinaria, insensata violenza, come questa:

“Intorno alle 21, un cittadino straniero di 24 anni originario della Guinea, ospite di un centro di accoglienza di Aprilia, sta percorrendo in bicicletta via Goldoni. Due 30enni italiani, probabilmente sotto l’effetto di alcool e droghe, a bordo di un’utilitaria, lo raggiungono, lo affiancano, lo insultano con frasi razziste e poi lo investono una prima volta, con una rapida sterzata. Dopo avere effettuato un’inversione di marcia, guidando contromano, tornano nuovamente ad investirlo, lasciandolo sull’asfalto privo di sensi. Un passante allerta immediatamente i soccorsi e l’ambulanza, giunta sul posto poco dopo, trasporta il giovane all’ospedale di Anzio. Presenta profonde ferite alla testa e al tronco, e sebbene siano state escluse lesioni interne, la prognosi rimane riservata. I carabinieri, intorno all’1 di notte, rintracciano i due aggressori. Il conducente dell’auto, sulla quale vi sono evidenti segni dell’investimento, ha precedenti per droga e ora si trova in carcere a Velletri. Il suo complice, il passeggero, è invece incensurato e soggetto allo stato di libertà vigilata, secondo l’autorità giudiziaria”.

Ho pensato a questo come un caso emblematico, significativo nel suo genere, da emarginato a emarginato, dimostra come si può chiudere un cerchio nel peggiore dei modi.

Si, perché l’emarginazione nelle sue subdole forme, non conosce sesso, età, orientamento o provenienza si scaglia contro chiunque presenti una diversità, e si trasforma spesso in una guerra tra discriminati. Si riversa come un fiume di frustrazioni e violenza sull’altro.

E allora, mi domando, come si risponde ad azioni così o a parole come quelle sentite da me? Con empatia e coraggio. Imparando nel nostro piccolo a metterci nei panni dell’altro l’altro, senza voltarci dall’altra parte.

Lo spero vivamente in questo nuovo anno, per me e per voi.

Deborah Greco

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