L’oblio, ultimo libro di Philippe Forest: una delirante scoperta di se stessi, al di là del reale

“Avrei voluto una vita ordinaria. Senza pretese. Il genere di vita che nessuno confesserà mai di aver desiderato ma che chiunque sarà contento di aver vissuto. Alla resa dei conti.”

L’oblio

Un uomo qualunque si sveglia un mattino, inquieto, in una qualunque stanza d’albergo, su una qualunque isola incantata al largo della terraferma. Una parola. Al misterioso protagonista de “L’oblio” di Philippe Forest manca una singolare parola.

Sin dalla prima pagina, il libro, edito da Fangando Editore, è saturo di deliri onirici che catapultano il lettore in una dimensione surreale, difficilmente interpretabile. Un flusso di coscienza senza forma scorre tra le righe del romanzo, pensieri si susseguono sconclusionati, alla ricerca di una semplicissima parola perduta, che pure catapulta l’uomo in questione in una profonda inquietudine.

Convinto che possa perdere da un  momento all’altro la capacità stessa di comunicare attraverso il linguaggio, il protagonista cerca a tutti i costi di aggrapparsi alle parole che gli restano, pur di non lasciarsi sfuggire un’immagine, un ricordo, una sensazione che fluttua inconsistente nella propria coscienza. Eppure, quei termini gli appaiono insufficienti, inadeguati a descrivere l’incorreggibile viavai di emozione indecifrabili che lo assalgono.

 




Si descrivono solo delle frasi, mentre si crede di descrivere la realtà che esse dicono.

Per questo la realtà assomiglia a tutto, o a niente, non ha altra sostanza se non le parole che si usano per esprimerla

L’oblio di Philippe Forest: un’avventura kafkiana al di là del verosimile

Tutto perde forma, il tempo e lo spazio si dilatano in una misteriosa ricerca del proprio io, in una lenta discesa verso gli inferi della consapevolezza di sé. Cercando di recuperare ciò che gli sfugge, l’innominato protagonista si rifugia su un isola lontana, ben oltre il continente. Le giornate scorrono identiche, quasi apatiche, tra luci e colori visionari, al limite della fantasia. Una nuova ossessione prende il sopravvento, si mescola con la ricerca ostinata di quella parola sfuggita per sempre. Il desiderio di scoprire il mistero che si cela dietro un semplice quadro, diventa la smania di comprendere la propria misera condizione. L’oblio, di Philippe Forest, è un’avventura kafkiana, al di là del verosimile.

Luci e ombre si mescolano. Il tutto diventa niente, il niente tutto. Ogni condizione è la conferma e il contrario di sé stessa, incomprensibile, quasi indescrivibile. Si perde il filo del ragionamento, in un susseguirsi di pensieri contraddittori, equivoci.  Il flusso indeterminato di impressioni aleatorie si mescolano con la storia dell’isola, con la realtà dei sui abitanti, che vivono ignari dei tormenti del protagonista. La mancanza è l’unico pilastro portante dell’intero romanzo. La mancanza di qualcosa, o meglio, di qualcuno. Mancanza, tristezza, desiderio.

La parola è stata dimenticata. Si è perduta in un oblio di pensieri e di ricordi. Solo l’oblio può conservare intatte quelle particolari sensazioni, senza che la coscienza ne modifichi l’essenza. Il lettore si perde in ragionamenti inconcludenti, frutto di sogni onirici e realtà distorte, come nei migliori racconti di Borges o Perec.




In assenza totale di trama, il racconto si sviluppa tutt’intorno alle parole. E’ un’arte metafisica, un concettismo intellettuale che si fonde con l’incoscienza del sogno onirico. Narratore, protagonista e autore si fondono in un tutt’uno, generando un singolo personaggio dalle visioni contrastanti. La realtà si modella su un singolo pensiero, che è mutevole e informe, pronto a calarsi nell’oblio e a essere dimentico. In fondo:

Tutto sembra essere stato inventato. Di ciò che fu non resta ben presto che una finzione. Non c’è niente da fare. A meno che non ci si affidi all’ oblio. La sola soluzione di cui si disponga affinché la favola della propria vita non diventi troppo infedele rispetto a ciò che
è stata…

Antonia Galise

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