– Oscar Nicodemo –
L’esigenza di un’informazione più completa e immediata, tanto nel linguaggio quanto nei contenuti, si è sempre accompagnata all’insopportabilità diffusa della retorica scadente della politica. E, a ben vedere, l’urgenza di un nuovo modo di comunicare ed esercitare la critica potrebbe addirittura precedere di gran lunga la necessità di innovare la classe dirigente. In un’epoca che registra lo svuotamento della politica, ciò che rimane invariato è la chincaglieria intellettuale che ha raccontato fino a oggi le gesta di questa politica, coprendone l’indecenza con atteggiamenti e congetture da rattoppo.
L’esigenza di un’informazione più completa e immediata, tanto nel linguaggio quanto nei contenuti, si è sempre accompagnata all’insopportabilità diffusa della retorica scadente della politica. E, a ben vedere, l’urgenza di un nuovo modo di comunicare ed esercitare la critica potrebbe addirittura precedere di gran lunga la necessità di innovare la classe dirigente. Eppure, se da una parte la solita e inutile minutaglia politica va perdendo peso, dall’altra la chincaglieria intellettuale che ne ha raccontato fino a ora le gesta, coprendone l’indecenza con atteggiamenti e congetture da rattoppo, resta ferma al suo posto, come se, questa, non avesse niente a che fare con una maniera di concepire il potere grazie al quale è stata legittimata a pensare e a scrivere scemenze esemplari, analisi di sconcertante ovvietà, schifezze in genere.
Chiamati a difendere un sistema che protegge quanto di più indegno possa produrre una società contorta e perversa come la nostra, oggi, molti critici e giornalisti girano a vuoto intorno all’asse dell’evanescenza, abituati come sono ad agire a comando, ad abbaiare quando scatta un ordine dall’alto, a stare in guardia quando il padrone li mette in allerta. Che strano, di canino hanno tanto, ma non il fiuto, che poteva tornar loro utile, se non altro per prevedere che un’insoddisfazione di massa, ramificata in rete, quand’anche squinternata e nevrastenica, li avrebbe ridimensionati nella funzione, giudicandoli scribacchini e simulatori di pensiero.
Via, s’invoca da più parti un po’ di ritegno! Ci ritroviamo giornalisti di grido (e non solo perché urlano) che, nonostante innumerevoli cantonate, sbagliatissime previsioni e ipotesi scriteriate sullo stato sociale della nazione, hanno ancora l’ardire di sbraitare dalle poltrone televisive di questo o quel talk, esponendo ripetutamente un vuoto ideologico disarmante. Intelligentoni da riporto che per un tempo prolungatissimo hanno raccontato, criticato e analizzato il paese, chi senza azzeccarne una, chi senza essere adeguatamente attrezzato per farlo, ancora oggi sentenziano da par loro, elaborando banalità in serie. Eppure, ormai appare chiaro a tutti, o quasi, che a fare da contraltare a una classe politica non proprio adeguata ce ne sia una di osservatori altrettanto inadatta.
Ridotta, ormai, a materia non soggetta a ragionamento, la politica gode dell’assenza di una critica autentica. Due delle attività fondamentali di uno stato civile, la politica e la comunicazione, dovrebbero riaversi e svolgere i rispettivi ruoli alzando il livello etico e di competenza. Diversamente, il paese resta nelle mani di interpreti di basso profilo e narratori di aria fritta.