Lo stupro è una cosa da uomini: ne sono convinte le femministe scozzesi, che non accettano un approccio gender-inclusive quando si tratta di criminali.
Lo stupro e l’identità di genere
Scozia. La persona X viene arrestata per stupro. Sul casellario della polizia barra però <sesso femmina> nonostante sia biologicamente maschio. La persona X è transgender e non ha ancora effettuato la transizione e la riassegnazione anagrafica. Tuttavia la polizia offre l’opportunità di dichiarare un’identità di genere diversa dal sesso biologico. Anche in funzione di un futuro trattamento carcerario. E le femministe insorgono. Le obiezioni sono molteplici. Le più agguerrite rispetto alla comunità trans (le c.d. Terf) vedono una ulteriore e maligna invasione di campo da quelli che, secondo loro, di fatto sono maschi. Altre lamentano invece possibili opere furbe: dichiararsi donne solo per essere assegnati ad una prigione femminile. Altre ancora ipotizzano confusioni statistiche: un casellario pieno di crimini femminili potrebbe avere rilevanza politica e per gli studi antropologici. Inoltre i media si basano su quei casellari: l’opinione pubblica potrebbe essere spinta in senso ancora più maschilista. Infine ci sono quelle che sostengono che l’identità di genere non conta: lo stupro è cosa da uomini.
Premesse necessarie
Il discorso qui si dirama in una serie di ramificazioni. Alcune delle quali occorre lasciarle indietro e darle per scontate, nell’ottica di avere un punto di partenza comune. Per esempio lasciare fuori dal gioco coloro che potrebbero mentire per avere dei vantaggi oppure per scherno. Si suppone che siano pochi, forse addirittura nessuno. In ogni caso quando si parla di diritti umani buona norma vuole che il discorso guardi ai potenziali discriminati piuttosto che a quell’unico bugiardo. Allo stesso modo si dà per scontato che i diritti umani spettino anche al più abietto dei criminali. Altrimenti non sarebbero < diritti umani > ma < privilegi dei buoni >. A questo punto ci troviamo di fronte a due strade parallele e complementari.
Lo stupro è una cosa da uomini?
Le femministe scozzesi quando parlano di statistica dicono il vero. E vale in Scozia come in Italia. L’Istat rivela denunce tutte al femminile: il 32% delle donne è stata vittima di abuso sessuale. 3,2 donne su 10. Poi ovviamente c’è il sommerso che si può solo stimare: la paura e la vergogna di denunciare per essere vittime di scherno o di colpevolizzazione. Il punto è che questo riguarda anche gli uomini. Uno studio di natura psicologica stima che la violenza sessuale maschile non denunciata si attesti intorno ad un uomo su quattro. Il 25%. Ossia 2,5 uomini su 10. Lo stupro sugli uomini viene scisso in due parti: passivo e attivo. L’uomo può subire un atto penetrativo violento oppure può essere costretto ad un rapporto sessuale non voluto. E qui in molti storceranno il naso. Il mito secondo cui un uomo non possa compiere un atto sessuale attivo se non vuole, per mancanza di erezione, non si riesce a scardinare. Ma se ammettiamo che una donna possa essere stuprata anche se ha i jeans, si divincola e non è fisicamente pronta a subire una penetrazione allora dobbiamo accettarlo anche per gli uomini. Da qui il passo a “gli stupratori degli uomini sono a loro volta uomini” è breve. E sbagliato. Se pure vero che in caso di stupro violento l’abusante è uomo, è anche vero che l’80% degli uomini che ha subito un abuso sessuale perché ricattato oppure sotto effetto di droghe o alcol, quindi senza consenso valido, aveva come carnefice una donna. Di solito in legame relazione o di parentela. Proprio come succede alle donne.
Lo stupro come atto di potere
Al netto delle disparità numeriche, non si può proprio dire che lo stupro sia matematicamente connesso al tipo di genitali che si possiede. In realtà c’entra poco anche con il sesso. Di fatto è un esercizio sadico di potere e violenza. Se lo stupro quindi ha connotati psico-culturali potrebbe non essere, sì, connesso al maschio ma comunque all’uomo. Là dove per <uomo> si intende un essere umano nato fisicamente più forte e orientato culturalmente alla prevaricazione, anche violenta, da una società che spinge al possesso, alla prestanza e alla virilità a tutti i costi. Però allora che dire delle donne che usano il sesso come costrizione? E che dire, ritornando al nostro esempio scozzese, di una persona transgender accusata di stupro? Di sicuro non si è mai identificata col sesso assegnato alla nascita e col genere accettato dalla società. Basta un solo caso per rendere errata una generalizzazione.
Il sesso dei criminali
Resta una sola domanda: ha senso registrare il sesso e l’identità di genere dei criminali? Vale per lo stupro come per altri crimini. Occorre chiedersi che importanza antropologica e politica abbia sapere che gli uomini ammazzano o rubano o spacciano di più. C’è una connessione biologica, sociale o di semplice opportunità? Se gli uomini si macchiano più di frode fiscale, ad esempio, magari è solo perché in posizioni apicali ci stanno sempre loro. Non possiamo dire cosa farebbero le donne in massa finché non le mettiamo a capo delle aziende in gran numero. In alcuni casi basarsi sul rapporto genere-crimine può essere persino un intralcio alle indagini. Per esempio la certezza che le donne non ammazzano mediante pistola ha rallentano le indagini del caso della nota serial killer Aileen Wuornos. Allo stesso tempo però la nostra società ha un problema di femminicidio. Configurato precisamente come un uomo che ammazza una donna che lui sente sua e la uccide in quanto donna, secondo precise aspettative sociali e relazionali. Il termine serve ad indicare un’emergenza di genere e questo smuove la politica a trovare delle soluzioni sempre più necessarie. Ovvio però che il femminicidio dovrebbe rientrare nel più generale “omicidio di genere”: applicabile anche a ruoli invertiti o in coppie omosessuali o di persone transessuali, avendo come causa scatenante proprio l’identità di genere. Il solo sesso biologico e l’identità di genere dei criminali non sembra più sufficiente per ragionare intorno al crimine, che sia lo stupro o altro. In una società composita, e si spera sempre più libera da schemi, più ampio deve essere anche lo sguardo sulla cronaca nera: valutare il sesso e il genere dell’aggressore ma anche della vittima così come la connessione tra loro. Così da avere un contesto più esatto, utile a più di uno scopo.
L’importanza di essere gender-inclusive
L’approccio gender-inclusive, di cui la Scozia è esempio virtuoso in ogni ambito, diventa sempre più presente nelle nostre vite quotidiane, dal linguaggio alla politica. Una strada necessaria che è stata tracciata e che si spera porti lontano. Normale che ci sia bisogno di adattamento, che si compiano errori e che le domande siano moltissime. Soprattutto quando questa strada incrocia ambiti già di per sé difficili: come il rapporto con lo stupro e il trattamento degli stupratori. Del resto è proverbiale: è tortuoso parlare del sesso degli angeli. Figuriamoci un po’ di quello dei demoni.
Alice Porta