Lo studente catanese e il comizio contro la Boschi
Sabato scorso, mentre mi trovavo in Germania per motivi di studio, una notizia proveniente dal Bel Paese ha attirato improvvisamente la mia attenzione: uno studente di Giurisprudenza della Scuola Superiore di Catania, Alessio Grancagnolo, avrebbe messo in grave difficoltà il ministro Boschi nell’ambito di un incontro accademico sulle riforme costituzionali ospitato dall’ateneo catanese. IlFattoQuotidiano.it ha riportato la vicenda con toni trionfalistici: “Maria Elena Boschi, il rettore e Alessio: in otto minuti un pezzo di storia d’Italia”. Nella ricostruzione di Alex Corlazzoli lo studente “prende la parola e diventa un eroe”. Il tono enfatico mi ha messo in guardia, ricordandomi da vicino i numerosi video circolanti in rete in cui l’eroe di turno, solitamente Di Battista o Di Maio, “asfalta” l’interlocutore, invariabilmente appartenente all’establishment (o casta). Mi sono comunque ripromesso di guardare per intero il botta e risposta al mio ritorno in Italia, così da poter valutare con cognizione di causa. E l’esito è stato peggiore di quanto mi immaginassi: quello che doveva essere l’atto eroico di un giovane coraggioso che sfida il potere mi è sembrato piuttosto il comizio politico di uno studente presuntuoso e fin troppo compiaciuto, che ha sfruttato l’occasione per lanciare un attacco politico in piena regola del tutto fuori luogo nel contesto accademico.
In primis, va rilevato che non vi è stato alcun tentativo di censura da parte del rettore Giacomo Pignataro, diversamente da quanto sostenuto con enfasi nell’edizione online de Il Giornale. Il rettore etneo ha esortato a più riprese Grancagnolo ad avviarsi alla conclusione del suo intervento semplicemente poiché esso aveva superato abbondantemente il tempo degli altri interventi, e si è risolto a togliergli la parola solo dopo il quarto avvertimento andato a vuoto. Certo, le parole del rettore non sono state delle più felici (“Non era previsto alcun contraddittorio. Chi non gradisce il format può anche non partecipare”) e lo stesso Pignataro ha riconosciuto, in un’intervista a LiveUniCt di aver usato un tono troppo brusco, ma l’interruzione del monologo, dopo ben otto minuti, mi è parsa sacrosanta. Pertanto, più che di un’eroica difesa della libertà di parola di fronte alla censura del potere si è trattato piuttosto di mancato rispetto delle regole del confronto.
Bisogna sgomberare il campo anche dalla idea, alimentata dalla stampa antigovernativa, che la Boschi sia stata messa in seria difficoltà, o che addirittura, mancando totalmente di argomenti dialettici, il Ministro per le Riforme istituzionali si sia limitato a sfoderare la sua arma segreta, il suo sorriso da “spot del dentifricio”, come ha scritto Marco Travaglio con la sua solita obiettività e sobrietà. Una notazione ai limiti del maschilista, come la successiva definizione della Boschi quale “madonna pellegrina renziana”, che –sottinteso – si limiterebbe a promuovere l’azione di governo con la sua candida bellezza e virtù. Niente di più falso, visto che la risposta del Ministro è stata puntuale ed articolata, toccando in circa 16 minuti le critiche principali mosse da Grancagnolo. E a chi obietta che alla Boschi è stato lasciato un tempo doppio rispetto allo studente catanese, mi sento di dire che ciò rientra nella normale dinamica degli incontri accademici, in cui la risposta del relatore è sempre più estesa rispetto alla domanda, per quanto vanesio ed esibizionista possa essere chi la pone – e in ambito universitario non mancano di certo gli interventi finalizzati a mettersi in mostra
Chiariti questi due aspetti, credo sia utile focalizzare l’attenzione sui contenuti dell’intervento dello studente, su cui quasi tutte le principali testate hanno allegramente sorvolato, interessate più che altro alla ghiotta polemica verso il ministro Boschi. A Next Quotidiano non è tuttavia sfuggita l’eccessiva lunghezza della premessa, nella quale Grancagnolo ha raccontato di essere stato esortato dagli amici ad ammorbidire i toni del suo intervento, ma di aver deciso infine di pronunciare il suo discorso così come era stato ideato, poiché vi sarebbe bisogno di tali piccoli “atti di coraggio”. Insomma, un esordio volto a costruire l’immagine dello studente coraggioso che sfida il potere, ripresa con enfasi dal Fatto Quotidiano. Il riferimento alla libertà d’espressione e all’università come luogo di “libera dialettica” mi è poi sembrato un tentativo di mettere le mani avanti in caso di interruzione dettata dall’eccessiva lunghezza dell’intervento, di cui in fondo lo stesso studente era consapevole, come emerge dalla sua intervista al Corriere della Sera. Poco efficace è stata inoltre la frecciata rivolta ad imprecisati esponenti del governo, che avrebbero definito quali “vecchi parrucconi” gli oppositori delle riforme: di fronte alla domanda del Ministro circa le loro identità e ad un’eventuale rassegna stampa su tali dichiarazioni, Grancagnolo non ha saputo fornire risposte.
Venendo all’impostazione del discorso, credo sia stata poco felice la scelta di iniziare la critica alla Boschi sul metodo e non sul merito delle riforme. Dopo aver accennato a forzature dei regolamenti parlamentari, come richieste di fiducia, “canguri”, “ghigliottine”, ricatti alla minoranza democratica, sedute notturne e velati ricatti di far cadere il governo, aspetti prettamente politici che ben poco hanno a che fare con un dibattito accademico, Grancagnolo si è buttato sulla “madre di tutte le forzature”: la sentenza 1/2014 della Consulta, che ha dichiarato parzialmente incostituzionale la legge elettorale detta “Porcellum”, in virtù dell’abnorme premio maggioranza svincolato dalla soglia di voti e dall’assenza di preferenze. Peccato che anche in questo caso, per sua stessa ammissione, lo studente si si lanciato in valutazioni politiche e non giuridiche. Pur riconoscendo infatti la legittimità giuridica delle due Camere elette con la legge parzialmente bocciata dalla Consulta, Granagnolo ha negato la legittimità politica di un “Parlamento di nominati”, che a suo avviso dovrebbe limitarsi all’ordinaria amministrazione, e non certo porre mano alla riforma di 51 articoli della Costituzione. Con retorica decisamente troppo ampollosa lo studente ha poi parlato di “maggioranza drogata da un premio di maggioranza incostituzionale, con un evidente “vulnus di rappresentanza politica”. Ovviamente per il Ministro Boschi è stato fin troppo facile fare appello alla sentenza della Corte Costituzionale, la quale chiarisce che il Parlamento eletto dal 2013 è pienamente legittimato a legiferare senza limiti e vincoli, in ogni materia, comprese le riforme costituzionali, a prescindere da qualsiasi considerazione politica.
Non ha avuti maggior fortuna la critica all’iniziativa del governo nelle riforme costituzionali, basata essenzialmente sulla citazione di Piero Calamandrei, secondo il quale l’esecutivo non avrebbe dovuto avere alcun potere di revisione costituzionale. Pur dicendosi legata all’eredità di Calamandrei, per ragioni di provenienza e di studi, la Boschi, senz’altro più precisa nei riferimenti, ha replicato citando la Seconda sottocommissione Terracini dell’Assemblea costituente, la quale votò in favore della possibilità per i governi di presentare riforme costituzionali, nonché i pareri di autorevoli giuristi come Costantino Mortati e Arturo Carlo Jemolo. Anche in questo caso, dunque, la critica di Grancagnolo si è mostrata più politica che giuridica.
La parte relativa ai contenuti è poi iniziata con un affondo contro il combinato disposto costituito da legge elettorale e progetto di revisione costituzionale, foriero di “un mutamento surrettizio della forma di governo e di Stato”. Le riforme costituzionali porterebbero secondo Grancagnolo da una “democrazia parlamentare, svuotata dalla prassi governista” ad una “democrazia di investitura”, un “premierato assoluto”. Anche qui lo studente è stato fin troppo generico nei riferimenti giuridici, limitandosi ad espressioni ad effetto di cui non ha precisato né l’esatto significato né i giuristi che le hanno elaborate. In tale direzione sono andati anche i riferimenti al governo quale “dominus assoluto del processo legislativo” e allo sfregio che le riforme costituzionali costituirebbero per la democrazia rappresentativa, conducendo ad una “democrazia immediata, fondata sul carisma del leader”, con il rischio di sfociare in “regimi personalisti e potenziali derive plebiscitarie”.
In merito alla presunta svolta autoritaria, che Grancagnolo ravviserebbe “in compagnia di alcun dei massimi giuristi italiani”- anche qui rimasti privi di identità-, per il Ministro Boschi è stato fin troppo facile citare il documento elaborato da 56 autorevoli costituzionalisti, che pur esprimendo forti critiche nei confronti delle riforme costituzionali precisano di non essere affatto tra coloro che vi ravvedono “l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo”. Secondo lo studente della Scuola Superiore, invece, la riforma non si sarebbe limitata a rivedere la seconda parte della Costituzione, ma ne avrebbe intaccato anche i principi fondamentali, giacché il dettato costituzionale sarebbe un “corpo vivo e unitario”, tra le cui parti -ben lungi dall’essere compartimenti stagni – sussisterebbe un “rapporto osmotico”. Si tratta certamente di una vivida ed appassionata descrizione del testo costituzionale, che tuttavia, a ben vedere, pone dei limiti assai restrittivi alla possibilità di una sua revisione. In ogni caso, secondo lo studente di Catania, le riforme patrocinate dal governo Renzi si sarebbero spinte così oltre da mettere in pericolo la stessa forma repubblicana dello Stato, che secondo l’articolo 139 non può essere oggetto di revisione costituzionale, con “effetti ai limiti dell’eversivo”. Si tratta pertanto di un catastrofismo che rende vana qualsiasi replica. E in effetti il Ministro Boschi si è limitato a far notare che l’Italia continuerà ad essere una Repubblica Parlamentare, in cui il Parlamento esprime il voto di la fiducia nei confronti dei Presidenti del Consiglio designati dal Presidente della Repubblica.
Tra ampollose petizioni di principio e descrizioni di scenari politici apocalittici dominati da governi autoritari, nel discorso di Francagnolo vi è stato posto anche per qualche riferimento concreto alle novità introdotte dalle riforme costituzionali. In primis, lo studente ha evidenziato che l’Italicum non risolverebbe i problemi di costituzionalità della precedente legge elettorale, in virtù del premio di maggioranza assegnato al secondo turno, indipendentemente dai voti della prima tornata, aggiungendo che un sistema elettorale a doppio turno costituirebbe un unicum per gli organi rappresentativi, essendo riservato in altri contesti solo ad organi monocratici. A tali obiezioni la Boschi ha replicato che la nuova legge elettorale prevede un premio di maggioranza limitato e predeterminato, a differenza delle leggi di altri paesi, come il Regno Unito, in cui l’effetto disproporzionale ha una portata assai maggiore. Il ministro ha inoltre evidenziato che il premio di maggioranza viene assegnato alla lista e non alla coalizione che raggiunge il 40%, soglia superata una sola volta negli ultimi 50 anni dal PD alle Europee del 2014, e ha ricordato che in ogni caso sarà la Consulta a stabilirne la legittimità costituzionale, prima che la legge entri in vigore.
La parte più incisiva del discorso dello studente di Catania, che non a caso non è stata toccata nella replica del Ministro Boschi, riguarda l’aspetto a mio avviso maggiormente problematico delle riforme costituzionali: l’iter legis, che risulta assai più complesso rispetto all’assetto precedente. Grancagnolo ha parlato a tal proposito di un “sistema confuso e pasticciato”, caratterizzato da “un elevato rischio di contenzioso tra le Camere davanti alla Corte costituzionale, che avrà presumibilmente l’effetto di rallentare il procedimento legislativo”. Emblematica a tale riguardo è la modifica dell’articolo 70 della costituzione, passato da 9 parole (“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”) a ben 438 parole!
Proprio quest’ultima obiezione, formulata in modo pregnante ed incisivo, attesta che lo studente della Scuola Superiore catanese avrebbe potuto contribuire al dibattito in modo assai più rilevante se si fosse concentrato su aspetti tecnici del Diritto Costituzionale, anziché lanciarsi in continui attacchi politici, finendo per cadere in una “demagogia costituzionale” eguale e contraria a quella rinfacciata ai promotori della riforma, con tanto di copia anastatica della Costituzione esibita di fronte al Ministro. Ma un sobrio intervento sul merito delle riforme, scevro di finalità politiche, avrebbe avuto anche un risvolto negativo: non avrebbe certo attirato l’attenzione della stampa nazionale, con tanto di titoli in prima pagina (“Alessio, lo studente che difende la Costituzione dalla Boschi” sul Fatto Quotidiano) e interviste in tv (a “Piazza pulita”, su La7). E considerando la notevole dose di protagonismo e autocompiacimento mostrata da Grancagnolo, dubito fortemente che tale attenzione gli sia risultata sgradita.