Di Francesca de Carolis
Non riesco a togliermelo dalla testa, da quando Monica, Monica Murru avvocato, mi ha raccontato della vicenda che sta seguendo di… chiamiamolo Andrea, sei anni appena, straziato fra due genitori separati. Portato via dal padre un giorno d’estate, per un breve concordato periodo da trascorrere in Belgio, in casa di lui, ma alle soglie dell’inverno ancora lì, trattenuto lontano dal paese della Sardegna nel quale è cresciuto, dalla madre, che pure è volata in quel lontano nord, ma che dopo un breve incontro quasi rubato ancora soffre la pena di essere tenuta lontano, del tutto arbitrariamente, dal suo bambino.
Sullo sfondo le affannate tappe di una guerra che si era conclusa con l’affido condiviso. Ma che dopo il rapimento, perché di rapimento di fatto si tratta, ripresa ora a colpi di denunce, di pronunce di tribunali, che ogni Stato ha i suoi, di ragioni e contro ragioni, che ogni burocrazia ha le sue. E a scorrerne le pagine c’è da rabbrividire. E non tanto, o certo anche, pensando alla prepotenza di un padre che sottrae con l’inganno un bambino alla madre, e pensando alla disperazione della madre che sa quanto un bambino di sei anni abbia bisogno di lei. Ma c’è da rabbrividire soprattutto al pensiero di quella tremenda macchina che ha del mostruoso se, impantanandosi in ragioni burocratiche, riesce a non vedere lo strazio del piccolo Andrea, a non guardare a tutta questa triste storia con lo sguardo e il sentire di lui.
Sì, il sentire di un bambino che della mamma, com’è naturale che sia, ha sempre chiesto, che non capisce perché lei non possa riprenderlo con sé, che di lei a tratti inizia a dubitare, che del padre inizia ad avere paura… lacerato dalla violenta battaglia emotiva che si combatte dentro di lui. Forzato a vivere in un mondo estraneo, a sedersi sul banco di una scuola dove non ci sono i compagni con i quali è cresciuto.
Ci siamo tutti commossi e indignati alla storia di Eitan, il piccolo orfano del disastro della funivia di Stresa, portato in Israele. E sembra ci sia bastato. Sembra la vicenda di Andrea non faccia poi tanto notizia, come non fanno notizia le storie di tutti gli altri Andrea, ché il mondo ne è pieno. E qui da noi neppure si scherza. Si parla di circa 200-250 bambini contesi ogni anno fra l’Italia e l’estero…
Ho conosciuto anni fa la storia di un bambino rapito dal padre, anche lui che aveva appena sei anni. O meglio, di un ex bambino rapito che ha voluto poi raccontare la sua storia, fra Genova e il Medioriente. E forse questo un po’ lo ha in qualche modo aiutato a trovare pace:
“Negli anni non ho mai smesso di stupirmi di come, dall’età in cui è cominciato tutto e per i successivi 7-8 anni, i ricordi siano così vividi, seppur a tratti frammentati. Un’amica di famiglia sostiene che sia stata una reazione della mia mente di bambino a quello che è accaduto… Non riesco ad evitare di vederla come un ironico, e spesso crudele contrappasso. A volte mi prendono, alla sprovvista, dettagli che possono sembrare insignificanti ma che nella mia mente sono ben fissi, come paletti d’acciaio”.
Omar Rizq, “I miei due cuori nomadi”. Un libro pieno di saggezza e, ancora, di lacerazione. Con tutte le differenze con la storia di Andrea, che invito a leggere, per capire qualcosa…
Lo strazio dei bambini. Tutto sempre parte da lì, da quello che pensiamo di poter infliggere a chi crediamo in nostro possesso. Bambini, come cuccioli di cane.
L’impressione è di vivere in un mondo (soprattutto questo nostro occidentale) nel quale si fa un bel po’ di confusione fra desideri e diritti, come se tutto quello che si desidera sia da ottenere, oltre ogni limite. E inizia addirittura a prendere piede la stramba idea che i desideri “siano” diritti.
E che cosa mostruosa diventa il “diritto” di possedere un bambino. Di averlo con sé a tutti i costi, e non importa se i bambini diventino come oggetti, cose di cui disporre a nostro piacimento. Senza nessuna attenzione per il suo essere persona, e come tale con il diritto, soprattutto, di essere rispettato.
C’è una foto, del breve incontro che la mamma è riuscita ad avere con Andrea appena arrivata in Belgio, prima che le venisse di nuovo impedito di avvicinarlo. Lui avvinghiato al corpo di lei. Le braccia strette intorno al suo collo, le manine infilate fra i capelli, le ginocchia strette intorno ai suoi fianchi e il viso immerso in quello di lei quasi a volersi tuffare in quella mamma che le manca tanto… Pensate a quali pressioni, a quale tempesta dentro di lui.
E come non pensare al sentire di lui, oggi. Straziato fra un oscillare di pensieri e paure che sono mostri tremendi. Come non pensare ai danni enormi che provocherà su di lui tutto questo.
Ritrovo una poesia di Vittorio Sereni, che non so se c’entri, ma forse c’entra molto…
Quei bambini che giocano
un giorno perdoneranno
se presto ci togliamo di mezzo.
Perdoneranno. Un giorno.
Ma la distorsione del tempo
il corso della vita deviato su false piste
l’emorragia dei giorni
dal varco del corrotto intendimento:
questo no, non lo perdoneranno.
“Lasciate che i bambini vengano a me…”, così Cristo rivolto agli apostoli stabilisce la priorità dell’affetto umano e divino rivolto a chi è innocente e deve costruire la nuova società del futuro. La nostra invece certamente ha dimenticato, fra le altre cose, anche questa predilezione. Ecco allora che occorre riconsiderare i nostri rapporti matrimoniali e affettivi non solo nei riguardi del partner ma soprattutto dei figli, che sono gli ultimi destinatari dell’amore e dell’odio. Possiamo finalmente crescere noi adulti? Possiamo tenerne conto di che cosa vuol dire allevare dei figli contendendoseli e anzi rapendoli? Sono figli di entrambi e tali dovrebbero restare, anche dopo la separazione. Invece diventano elemento di scambio e di ritorsione, di punizione persino, non partendo da loro ma da noi. Il nostro “sano” egoismo ci spinge a gesti assurdi come se i bambini fossero delle nostre propaggini senza diritti, senza dovere di rispetto, senza amore. Perché sottrarre uno o più figli al coniuge non mi dite che lo si fa per amore! Ma per punire il/la nostro/a compagno/a attraverso di loro. Riappropriamoci dell’amore nei loro confronti e non lasciamo soli i genitori che si separano perché non sono lucidi e trasferiscono su ogni cosa o persona in comune il loro livore! Riprendiamoci il compito di prendersi cura, di noi innanzitutto, poi di loro, dei separandi e dei figli che non devono subire, oltre al trauma, anche la violenza fisica e morale. La stessa violenza che spinge a gesti atroci fino a uccidere l’altro/a, quasi sempre la donna perché l’uomo, noi, si sente scavalcato nei diritti e non riconosce la necessità che anche nei rapporti famigliari si rispetti l’altro/a da noi, che deve avere la libertà di ricostruire un nuovo rapporto d’amore, mantenendo nella più assoluta considerazione i figli che già soffrono il distacco e la lontananza. Possiamo richiedere nuove leggi che stabiliscano le modalità di un nuovo rapporto quando quello precedente viene a cessare soprattutto nei riguardi dei figli, ma siamo noi tutti a dovercene far carico, amando di più semmai in modo da compensare con un più forte sentimento la rottura coniugale.