Georges Bensoussan, la parola
Georges Bensoussan, storico francese, è uno dei più grandi studiosi europei di antisemitismo e Shoah.
Recentemente è stato messo sotto processo per via di una frase detta nel corso di una trasmissione radiofonica.
“Nelle famiglie arabe in Francia l’antisemitismo viene trasmesso con il latte”.
La frase non è di Georges Bensoussan, ma del sociologo algerino Smaïn Laacher. Una frase che è costata una delle accuse più infamanti che si potesse dare da parte del Tribunale di Parigi. “Incitamento all’odio razziale”.
Il Collettivo contro l’Islamofobia ha coinvolto lo storico in una battaglia legale, come è già stato fatto per altri casi simili.
Presentato brevemente il caso, nell’introduzione ho voluto volontariamente precisare quali, dello storico, fossero i campi di studio. Georges Bensoussan è uno dei più grandi studiosi della Shoah, del più grande sterminio della storia recente.
Qualcuno contro cui la predica di intolleranza, ci si fermerebbe un attimo prima di farla. Per quanto gli anticonformisti della critica all’Islam, come scrive Il Foglio, Parigi li ha processati quasi tutti. Oriana Fallaci, Michel Houellebecq, Charlie Hebdo, Ivan Rioufol, Éric Zemmour.
Ora tocca a Georges Bensoussan. E per quanto anticonformista e odioso possa apparire dirlo, l’impressione è quella di un’arena che si serve di un terrorismo culturale a tratti subdolo.
Una caccia alle streghe della parola. A chi dice “negro” e non “nero”, addirittura a chi cita, confuta, spiega. Un processo ingiusto, che nega l’onestà intellettuale a favore di un popular “incitamento al razzismo”.
Ricorda il motivo di quella copertina di Charlie Hebdo di fronte al quale si innalzò una bufera di polemiche sul buon costume. L’orgoglio italo ad una presa di coscienza non avrebbe mai potuto non preferire la via del “nessuno mi può giudicare, nemmeno tu”.
La Caselli nel ’66, l’Italia, e non solo, da sempre.
Ma tornando a Georges Bensoussan, Boualem Sansal, algerino, è uno dei più grandi scrittori viventi di lingua francese, ed è noto per la sua critica alle religioni in generale, oltre che per le puntuali critiche rivolte in particolare alla religione islamica.
Ad ulterioriori commenti, preferisco lasciare la lettera che questi ha inviato al tribunale che lo sta giudicando Georges Bensoussan.
di Boualem Sansal
A Fabienne Siredey-Garnier,
Presidente della XVII Camera penale del Tribunal de grande instance de Paris
Signora Presidente,
Desidero intervenire in qualità di testimone nel processo contro Georges Benssoussan.
Trovandomi tuttavia nell’impossibilità di presentarmi di persona all’udienza del 25 gennaio 2017, ho l’onore di inviarvi con la presente la mia testimonianza, sperando che il mio modesto contributo aiuterà a far riconoscere l’innocenza di Georges Bensoussan, essendo convinto che le accuse rivoltegli sono ingiuste e nocive.
Ingiuste, perché Georges Bensoussan è una persona infinitamente stimabile che tiene in grandissima considerazione il rispetto dell’altro. Come mostrerò a partire dalla mia esperienza, le dichiarazioni che gli si rimproverano non costituiscono in alcun modo un atto di islamofobia.
Nocive, perché possono essere percepite come parte di una politica generale che fa dell’accusa di islamofobia un mezzo per impedire qualsiasi critica dell’islam. Sono nocive tanto più perché Georges Bensoussan non ha in alcun modo affermato che l’antisemitismo sia imputabile all’islam, ma ha denunciato una palese carenza nell’educazione dei bambini nelle famiglie arabe in Francia e dicendo ciò non ha fatto che riprendere quanto affermato da un sociologo algerino in un documentario televisivo diffuso da France 3.
Io stesso ho denunciato in diverse occasioni questa cultura dell’odio che le famiglie arabe, scientemente o per semplice automatismo, inculcano ai loro figli; odio diretto contro l’ebreo, il cristiano, il cattivo musulmano, la donna emancipata, l’omosessuale eccetera
La giustizia francese non può che respingere tali accuse.
Di più, vorrà sottolineare che Georges Bensoussan fa un lavoro utile spiegando al pubblico quali sono le vie e i mezzi attraverso i quali l’antisemitismo si produce e si diffonde. Anziché impedire la libera espressione e il dibattito, è contro questo che bisogna lavorare: attaccare l’antisemitismo all’origine con campagne di informazione e di sensibilizzazione, inserendosi, peraltro, nel quadro della protezione dell’infanzia.
È difficile per uno straniero testimoniare in un processo che si svolge in un altro paese. Io sono algerino, vivo in Algeria, e in verità sono poco avvezzo alle regole e agli usi che vigono in Francia, soprattutto in materia giudiziaria.
Spero di non commettere nessuna gaffe fornendo la mia testimonianza in questo modo.
Nel mio paese, la legge sanziona severamente ogni attacco all’islam, al suo libro sacro, il Corano, e al suo profeta, Maometto. Se la Giustizia non lo facesse, i credenti più radicalizzati non mancherebbero di porvi rimedio e in nome della sharia sanzionerebbero prontamente il o i colpevoli.
Ma anche se musulmana, di rito sunnita malikita riconosciuto come severo e rigoroso, l’Algeria non considera, né per quanto riguarda la legge, né per quanto riguarda l’interpretazione della sharia, l’islamofobia un delitto o un crimine. La paura o l’odio verso l’islam è un sentimento e resta tale finché non si traduce in atti pubblici (gesti e parole) offensivi.
In Algeria, non c’è e non c’è mai stato, e spero che non ci sarà mai, un affaire Bensoussan.
Come non c’è mai stato un affaire Sansal. In Francia, per aver denunciato l’islamismo e attirato l’attenzione del pubblico sulla sua incredibile capacità di attrazione sui giovani privi di riferimenti, e per aver dichiarato che l’islam non è compatibile con la democrazia, sono stato considerato da alcuni un islamofobo. In Algeria niente di tutto questo, esprimo le stesse opinioni, i miei libri vendono e sono letti, i miei interventi in Francia sono ripresi quasi ogni giorno dai media algerini, e spesso duramente commentati, ma mai sono stato accusato di islamofobia. Le parole che si rimproverano a Georges Bensoussan in Francia fanno parte dei discorsi che tengo quasi quotidianamente in pubblico in Algeria.
Dire che l’islam è incompatibile con la democrazia, è semplicemente ripetere ciò che lo stesso dogma islamico dice e ciò che insegnano le autorità religiose. Per un musulmano, la democrazia è una bida’a, un’innovazione empia, fortemente condannata. Non c’è altro potere che quello di Allah.
Dire che l’antisemitismo fa parte della cultura islamica, è semplicemente ripetere ciò che dice il Corano, ciò che viene insegnato nella moschea (che è prima di tutto una scuola) e senza dubbio in molte famiglie tradizionaliste. L’antisemitismo è un riflesso acquisito molto presto. Poi la vita farà sì che si praticherà o si respingerà ciò che si è appreso
Il conflitto israelo-palestinese evocato quasi quotidianamente dai media pubblici e molto spesso durante la grande preghiera del venerdì, accresce ovviamente l’odio per Israele, gli israeliani e coloro che li sostengono.
Generalmente l’odio per l’ebreo si esprime in termini canonici, come esso è espresso nel Corano e negli hadith. La maledizione dell’ebreo e del cristiano ha il suo linguaggio e le sue formule, che bisogna rispettare alla lettera. Gli insulti che si sentono per strada non sono ammissibili.
Nel peggiore dei casi, in Algeria, le mie dichiarazioni mi procurano insulti da parte di islamisti e di coloro che io chiamo i guardiani autoproclamati del tempio. Io stesso non ho mai portato all’attenzione della Giustizia questi attacchi, anche se qualche volta avrebbero potuto essere considerati come minacce di morte o appelli al crimine.
Ringraziandola dell’attenzione che presterà alla presente, la prego, Signora Presidente, di accettare l’espressione della mia più alta considerazione.
Algeri, 17 gennaio 2017
Boualem Sansal, scrittore
Ilaria Piromalli
Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/un-assurdo-processo-%E2%80%9Cpolitically-correct-a-parigi/