Lo spread sale a 290 punti sui 282 di base. Giornata nera quella di ieri per le borse europee. Milano chiude a -1,1%, la peggiore.
Se ancora non fosse chiaro a cosa ci si riferisce quando si parla di spread, proviamo a fare un breve preambolo. Noioso, ma breve, promesso.
Lo spread è un indice di differenza percentuale. Un numero che riporta la differenza di rendimento tra due titoli. Nel caso specifico di questo articolo e nel caso specifico italiano, i due titoli messi a confronto sono i BTP e i Bund. Trattasi di obbligazioni emesse rispettivamente dal governo italiano e da quello tedesco.
Sorge spontanea una domanda: perché un governo dovrebbe emettere titoli?
Perché, se acquistati da investitori, i titoli di Stato offrono liquidità alle casse del Paese. In altre parole, moneta sonante a disposizione, che può essere utilizzata immediatamente per i provvedimenti più urgenti.
Ma, soprattutto in tempi come questi in cui la Germania non è tra le simpatie di un certo numero di italiani, per alcuni sarà d’obbligo un altro quesito: perché mai dovremmo confrontare i titoli di Stato italiani con i Bund tedeschi?
Perché l’economia tedesca è considerata una delle più solide in Europa. Se questo non ha senso per i comuni mortali, ne ha invece tanto per gli investitori. I titoli emessi da un governo non sono un bene di pronto utilizzo, ma una sorta di scommessa finanziaria. Dopo un certo torno di tempo i titoli possono essere riscossi dagli investitori con gli interessi, ed è proprio qui che entra in gioco il fattore spread.
Per rendere più appetibili i propri titoli di Stato è possibile innalzare la soglia degli interessi che potranno essere raggiunti al momento della riscossione del titolo. Ma chi ha bisogno di rendere più appetibile un prodotto muove da una situazione molto semplice: il suo prodotto non è abbastanza sicuro, non garantisce sicura soddisfazione. Per questo motivo il tasso di interesse sui titoli di Stato italiani è maggiore rispetto a quello sui Bund tedeschi. Lo spread indica la differenza che intercorre tra i due.
Un investimento con un tasso di interesse più alto sarà probabilmente più remunerativo, ma, allo stesso tempo meno sicuro. In sostanza sarà più probabile che un investitore scelga di acquisire titoli sicuri per non perdere i propri guadagni. L’investimento azzardato, è vero, potrebbe portare a guadagni maggiori, ma anche alla perdita di tutto il capitale.
Quando lo spread aumenta allora è questo quello che succede: la vendita di titoli di Stato italiani viene offerta con un maggiore tasso di interesse perché i titoli siano più appetibili. Il tasso di interesse maggiore, però, deriva dal fatto che la domanda degli investitori per i titoli di Stato italiani sia in calo, in quanto ritengono l’affare troppo rischioso. In poche parole, meno entrate per lo Stato, meno investimenti, meno disponibilità per la risoluzione di problemi immediati, meno sicurezza economica, meno sicurezza generale.
Per questo, quando arrivano voci che dicono che lo spread è arrivato a quota 290 punti, poi è sceso a 289 per assestarsi su 287, rispetto ai 282 punti base, si tratta di momenti bui non solo per le borse europee (tra le quali Milano al -1,1% rimane la peggiore), ma anche per l’economia italiana tutta.
Per questo se l’ad di Unipol, Carlo Cimbri sostiene che “Ci si abitua a tutto. Però ci stiamo abituando ad un livello di spread che non è sano per la nostra economia nel lungo periodo quindi non bisogna abituarsi” c’è da preoccuparsi. Anche e soprattutto in un Paese in cui, da più di un anno ormai, gli unici punti nell’agenda di governo l’immigrazione e il reddito di cittadinanza.
Paolo Onnis