Susan ci mostra i danni dello smart working.
Gli esperti coinvolti in uno studio promosso dalla piattaforma web inglese DirectlyApply, hanno creato Susan. Si tratta della rappresentazione computerizzata di una persona che ha lavorato da remoto per 25 anni. Un quarto di secolo di smart working e tutto ciò che ne consegue.
Il team, composto da psicologi ed esperti di fitness, ha individuato i danni che lo smart working arrecherebbe a chi vi si dedica per lungo tempo. Essi sarebbero: occhi secchi e arrossati, obesità, calvizie, rughe, macchie sul volto, mani irritate, postura ingobbita e spalle ricurve.
Il pendolarismo da letto a scrivania può consentire più tempo libero e indipendenza ma, considerate le ripercussioni fisiche per la tua mente e il tuo corpo, ne varrà la pena in futuro?
Questo l’interrogativo degli esperti, che non può che lasciarci perplessi.
È noto ormai a tutti quanto una vita eccessivamente sedentaria possa arrecare danni, immediati e futuri. Salute è sinonimo di vita sana, il che comprende seguire una dieta equilibrata, svolgere regolare attività fisica, evitare – o almeno limitare – sostanze dannose come fumo e alcol.
È purtroppo altrettanto noto quanto, la stressante vita contemporanea, renda difficile seguire i dettami precedentemente elencati, soprattutto a causa di ritmi particolarmente serrati.
Di certo affrontare il percorso che porta dal letto al computer di casa non può essere annoverato tra gli sport olimpici. Ma questo vale anche per la corsa in metro fino all’ufficio.
Gli stessi professionisti coinvolti nello studio individuano però una caratteristica fondamentale dello smart working: lascia più tempo libero a chi lo pratica, rispetto a chi invece lavora in modalità tradizionale.
Non volendo in alcun modo elevarci ad esperti, ci permettiamo però una riflessione. Il primo, forse banale, pensiero che ci si affaccia alla mente, è che quel maggiore tempo libero possa costituire una chiave di lettura fondamentale.
Se una vita sedentaria provoca danni in ogni caso, dedicarsi ad un’attività lavorativa che lascia una maggiore quantità di tempo libero potrebbe costituire un vantaggio. Perché quel tempo in più potrebbe essere impiegato per praticare sport, cucinare pietanze più sane, dedicarsi ad attività gradite alla persona e/o che riducano lo stress…
Insomma a noi sembra che, dal punto di vista degli effetti su mente e corpo, lo smart working potrebbe risultare addirittura vantaggioso. Ma non siamo esperti e nessuno ci ha commissionato uno studio, quindi forse ci sbagliamo.
DirectlyApply non si è però fermata all’elenco dei potenziali danni. Lo studio comprende infatti anche un altro elenco, quello di buone abitudini da adottare per non subire i sopracitati danni. Di queste, l’unica che non ci sembra già nota e risulta specifica per i casi di smart working è la seguente: dividere la vita lavorativa da quella personale.
È accaduto infatti, soprattutto durante la quarantena, che qualcuno lavorasse di più del solito in smart working. Questo era dovuto al non essere in grado – o al non potere, data la situazione socio economica – di circoscrivere tempi e spazi lavorativi. La conclusione è semplice: bisogna essere tanto smart da saperselo prendere questo utilissimo tempo libero in più.
Mariarosaria Clemente