Sempre più spesso sentiamo nominare lo schwa come una delle soluzioni linguistiche pensate per rendere la lingua italiana più inclusiva. Grazie a questo stratagemma, le parole non vengono declinate al maschile o al femminile, evitando quindi di far sentire escluse quelle persone che non si riconoscono in uno dei due generi.
Cos’è il linguaggio inclusivo e quali sono le più comuni tecniche di scrittura inclusiva?
Il linguaggio inclusivo è una forma di espressione che ha l’obiettivo di promuovere la parità di genere a livello linguistico. Per raggiungere questo scopo, sono state ipotizzate varie tecniche di scrittura inclusiva.
Il linguaggio neutro, per esempio, riformula le frasi oppure utilizza parole collettive in modo da eliminare direttamente qualsiasi tipo di declinazione al maschile o al femminile. “Sei un ragazzo molto in gamba” diventa quindi “sei una persona molto in gamba”.
La scrittura inclusiva simmetrica consiste invece nell’utilizzare la forma maschile per gli uomini e quella femminile per le donne. Ad esempio, “Gli scienziati Eva e Massimo hanno scoperto un nuovo vaccino” si trasforma in “La scienziata Eva e lo scienziato Massimo hanno scoperto un nuovo vaccino”.
Lo sdoppiamento integrale mira a sdoppiare i sostantivi, per cui “Cari tutti” diventa “Care tutte e cari tutti”, mentre lo sdoppiamento contratto ragiona al contrario e aggiunge solo una miriade di slash a tutto quello che scriviamo (es. “Cari/e tutti/e”), ed è quindi utile per modulistica o documenti scritti.
Si apre poi un mondo quando parliamo di simboli inclusivi: all’inizio andava di moda l’asterisco (*), poi è venuto il tempo della chiocciola (@), sostituita da vocali come la ‘o’ oppure la ‘u’. Oggi invece è il momento dello schwa (ə).
Cos’è lo schwa?
A chi obiettava che l’uso dell’asterisco ponesse un problema di pronuncia, si è ribattuto con lo schwa, che almeno ha un suono. “Car* tutt*” è quindi cambiato in “Carə tuttə”.
Lo schwa, o scevà, deriva dall’ebraico e si può tradurre con «nulla, niente». E’ rappresentabile come una piccola “e” rovesciata, un simbolo grafico che indica l’assenza di vocale dopo una consonante, ed è una delle proposte pensate per rendere la lingua italiana più inclusiva e gender-less.
Perché tutto questo? La lingua italiana è sessista.
Le femministe criticano il linguaggio di genere affermando che sia ingiustamente androcentrico. Secondo Alma Sabatini, per esempio, è emblematica la parola ‘uomo’, che ha una doppia valenza in quanto può riferirsi sia al maschio della specie, sia alla specie nel suo complesso, mentre la parola ‘donna’ si riferisce soltanto alla femmina della specie (“Il Sessismo nella lingua italiana” del 1987).
Negli anni, molti autori – come Caroline Criado-Perez nel suo “Invisible Women” – hanno ipotizzato il legame tra il genere grammaticale delle lingue e la posizione sociale dell’uomo e della donna. Inoltre, vari studi dimostrano una correlazione tra l’uso del genere grammaticale e gli atteggiamenti sessisti. Queste ricerche dimostrano che le lingue che pongono continuamente l’attenzione su nomi e pronomi maschili o femminili, come la lingua italiana, possono interferire con la percezione degli ascoltatori portandoli a ritenere un oggetto o una professione come tipicamente maschile o femminile. Per questo, nonostante l’evidente cacofonia, sempre più spesso sentiamo dire avvocata, ministra o capa, invece di avvocato, ministro o capo.
Personalmente, più che il nomen agentis, cioè il nome professionale, declinato al maschile, mi disturba sentirmi chiamare ‘signora’ o ‘signorina’ piuttosto che ‘Dottoressa’. Non perché sia un’offesa, ma per quel sottinteso di sminuimento o svilimento che sembra rivolto molto più spesso alle donne che agli uomini. Capita di sentir chiamare ‘Dottore’ o ‘Ingegnere’ uomini che questo titolo neanche lo hanno, solo per una questione di rispetto, ma capita meno spesso il contrario.
A livello concettuale, sento molto più affine il modo di pensare di Beatrice Venezi, che sul palco dell’Ariston di Sanremo 2021, al presentatore che le chiedeva come preferisse essere chiamata, ha risposto “Direttore” dividendo subito l’opinione pubblica sui social.
“Per me quello che conta è il talento e la preparazione con cui si svolge un determinato lavoro. Le professioni hanno un nome preciso e nel mio caso è ‘direttore d’orchestra’.
Beatrice Venezi a Sanremo 2021
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Nonostante il nobile scopo di queste proposte e l’interesse che circonda questo esperimento sociale, lo schwa, come molte altre soluzioni, non convince. L’italiano è una lingua con genere grammaticale dove i sostantivi non possono che avere genere maschile o femminile.
Certo, alcune proposte meno invasive – come la formulazione impersonale della frase, lo sdoppiamento o l’uso di parole collettive – possono essere condivisibili e alcune tecniche di scrittura sono tranquillamente utilizzabili in specifiche situazioni, durante particolari eventi o per rivolgerci a un determinato uditorio, ma cambiare in blocco la lingua italiana, che fa parte del nostro patrimonio, della nostra storia e della nostra tradizione, avrebbe come unico risultato certo quello di un progressivo impoverimento della lingua italiana, che mi ricorda tanto la neolingua orwelliana – tremendamente attuale.
Non capisci che lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di semplificare al massimo la sfera d’azione del pensiero? Alla fine, renderemo lo psicoreato letteralmente impossibile perché non ci saranno parole con cui poterlo esprimere. Ogni concetto di cui si possa aver bisogno sarà espresso da un’unica parola, il cui significato sarà stato rigidamente definito, priva di tutti i suoi significati ausiliari, che saranno stati cancellati e dimenticati. […] A ogni nuovo anno, una diminuzione delle parole e una contrazione ulteriore della coscienza. […] Hai mai pensato, Winston, che entro il 2050 al massimo nessun essere umano potrebbe capire una conversazione come quella che stiamo tenendo noi due adesso?
“1984” di George Orwell