Livorno; la targa “artistica” della discordia di Ruth Beraha

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Livorno-Museo della città; uno dei luoghi simbolo dell’arte contemporanea, situato nel cuore di uno dei più antichi quartieri della città marinara e che, casualmente ma non troppo porta il nome di “quartiere della Venezia”.

Nei nuovi spazi dedicati al linguaggio concettuale e provocatorio pochi giorni fa si è sfiorato l’ennesimo scontro ideologico, quando una piccola targa d’ottone, lucida come quelle che indicano uno studio notarile, ha fatto la sua comparsa proprio all’ingresso principale dell’edificio.

La targa riportava una scritta dal ricordo estremamente inquietante:

“Vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali”

Sembra incredibile che una cosa simile sia potuta succedere, a Livorno che una delle città simbolo delle lotte di classe e in un momento particolarmente delicata come questo, dove rigurgiti di ogni genere infestano strade, istituzioni e stati d’animo.

In molti a Livorno si saranno domandati: “Come fa la direzione del museo a permettere un tale scempio?”

Uno in particolare, Enrico, studente di 22 ani che al momento dell’installazione della targa si trovava in biblioteca.  Il giovane Enrico probabilmente non ci sta a vedere la storia della città di Livorno, contaminata dai nuovi aneliti di presunte supremazie razziali e fa due cose: sistema vicino alla targa un libro di Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, incentrato sulle lotte partigiane; successivamente ritorna e oscura la scritta con uno spray nero.

La scena si svolge davanti agli occhi della della direttrice scientifica dei musei civici, Paola Tognon, costretta a svelare la reale natura di quella targa.

Si trattava di un’opera d’arte, dell’artista milanese Ruth Beraha.

L’installazione si chiama: Io non posso entrare (autoritratto) ed è ciò che può essere definita; una provocazione d’artista tesa a sviluppare una riflessione, partendo dal consueto shock intellettivo, sul problema della discriminazione razziale e di genere. L’artista si è ispirata al romanzo Lo Schiavista di Paul Beatty, sfruttando la provocazione per risvegliare le coscienze sopite dalla rassegnazione.

 “Gli intenti di questa opera sono all’opposto quelli di sollecitare una riflessione contro tutti i razzismi e le discriminazioni, quelle del passato, del presente e del futuro, ha spiegato la direttrice Tognon. In particolare Ruth Beraha ha scelto di nominare in questo divieto di accesso due categorie la cui discriminazione è tristemente riconosciuta, per questo ancor più efficaci nel porci di fronte a una riflessione più vasta sui razzismi di ieri come purtroppo anche quelli di oggi, dentro e fuori di noi.”




Ruth Beraha ha dovuto ovviamente affrontare sentimenti contrastanti, in quanto artista e attivista, ma ha scelto di lasciare quella targa annerita come monito contro ogni discriminazione e questo accade quando il museo si accinge a celebrare il primo anno di vita.

La vicenda però induce alcune riflessioni doverose: la prima è sul ruolo dell’artista nel contesto sociale e le conseguenze del suo gesto metalinguistico, che spesso diventa pura provocazione. Nell’intento di Beraha vi è un tentativo provocatorio che è nutrimento dell’arte espressiva e contemporanea; non è dunque prestabilito che si tratti di un gesto comprensibile per convenzione o per scelta.

Il messaggio sconvolgente di un’opera d’arte non deve ammaliare lo spettatore, ma provocare uno sconvolgimento sensoriale ed emotivo, come fu per il futurismo, il Dadaismo e le combinazioni aleatorie nel gesto musicale di John Cage.

Correndo il rischio di ripetersi troppo però il gesto dell’arte sta prendendo il sopravvento sull’arte stessa, diventando esso stesso, paradigma ideologico di una semantica che dovrebbe andare oltre le proprie idee e le proprie battaglie.

Il gesto di Ruth Beraha è sconvolgente e, a suo modo necessario, ma non è più una novità e si ferma allo shock da parte di chi difende strenuamente una posizione, a scapito della propria coscienza e perciò non può sorprendere che possa essere frainteso.

Si parla di azione, ma dov’è l’opera d’arte?

Essa trascende l’azione, perché tramuta l’oggetto stesso in un nuovo significato. Invece, come spesso accade nel nuovo ordine mondiale, l’opera, la genialità e il suo significato tendono ad essere sottomesse alle esigenze di costume; sia esso politico, sociale o ideologico.

Fausto Bisantis

 

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