L’Italia tradisce gli impegni presi alla COP26, ancora una volta il profitto giustifica i mezzi

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L’Italia non rispetterà gli impegni presi alla COP26 di Glasgow circa il finanziamento del comparto fossile. Il governo italiano e l’agenzia di credito all’esportazione SACE continueranno ad elargire sussidi a progetti esteri che utilizzano combustibili fossili almeno fino al 2028.

I punti della COP26

A novembre 2021, a Glasgow, si è svolta la 26° conferenza ONU sui cambiamenti climatici. Tra gli obiettivi di questa conferenza c’era l’attuazione di alcuni punti contenuti già nell’accordo di Parigi del 2015, ma mai messi in atto. Tra questi ricordiamo l’istituzione di un fondo di 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i paesi poveri nella transizione ecologica e la definizione di un mercato internazionale delle emissioni di carbonio.

L’obbiettivo iniziale della COP26 era la completa decarbonizzazione dei singoli stati, da raggiungere anche grazie ad un’interruzione dei sussidi a fonti fossili. Questo ambizioso traguardo è stato tuttavia ridimensionato proprio poche ore prima della chiusura delle trattative a causa delle pressioni di India, Cina e Stati Uniti. Al posto della completa eliminazione del carbone, si è raggiunto un accordo che prevede solo il rallentamento nell’utilizzo. Inoltre, tale rallentamento è previsto soltanto per quanto riguarda il carbone “non abbattuto” (unabated).

Ma cosa significa “non abbattuto”? Con questo termine ci si riferisce ai combustibili fossili per cui non è previsto un sistema di cattura e stoccaggio delle emissioni di CO2. Il problema è che le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio sono ad oggi ancora in fase di sviluppo ed estremamente costose.

Rispetto al traguardo iniziale, poi, un altro passo indietro è stato proprio sui sussidi. Si è infatti stabilito che questi debbano essere interrotti solo quando risultano “inefficienti”. Questa definizione, rimanendo indeterminata, apre la strada ad una serie di scappatoie dall’accordo.

L’ennesima sconfitta

Insomma, il ridimensionamento degli obbiettivi iniziali è stato enorme e ha creato forte discontento. Europa Verde ha dichiarato: “Il documento finale della COP26 sancisce la vittoria della lobby delle fonti fossili”.

Infine, l’accordo di Glasgow risulta non vincolante ed è attuato sulla base di un impegno volontario a livello nazionale. Questa è un ulteriore dimostrazione di come il contenimento della catastrofe ambientale non rientri in alcun modo tra le priorità dei nostri governi, delle multinazionali e dei grandi istituti finanziari.

La COP27, svoltasi a novembre 2022 a Sharm el-Sheikh, non ha spostato di molto la situazione.

Inadempienza dell’Italia

Nonostante gli obbiettivi della COP26 non fossero per niente ambiziosi, l’Italia non ha comunque tenuto fede nemmeno a questi, cogliendo al volo le scappatoie offerte dal disegno dell’accordo.

L’Italia, attraverso l’agenzia di credito all’esportazione SACE, continuerà a finanziare una serie di progetti esteri legati all’estrazione e al trasporto di combustibili fossili almeno fino al 2028. Tale decisione è stata adottata a gennaio 2023, ma resa pubblica solo il 20 marzo scorso. Nella stessa data è uscito il rapporto del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) che vede l’Italia come uno dei paesi più a rischio per quanto riguarda le conseguenze del cambiamento climatico.

La decisione di proseguire coi sussidi non è stata comunicata dai canali ufficiali di SACE o del ministero dell’Economia. La notizia è apparsa solo sui profili social della coalizione internazionale Export finance for future (E3F). Nel frattempo, sul sito di SACE si continuano a leggere slogan ispiratori e per niente ingannevoli: “Il valore di ciò che facciamo si misura anche dall’attenzione che prestiamo all’impatto delle nostre attività sull’ambiente”

La retorica della “sicurezza energetica”

La decisione italiana di continuare ad investire in carbone, petrolio e gas fossile si colloca in un periodo in cui la guerra in Ucraina ha determinato uno stato di crisi energetica in tutta Europa. Questa non è una scelta casuale. Infatti, è molto facile strumentalizzare lo stato di emergenza energetica per giustificare il finanziamento al comparto fossile.

Tuttavia, queste argomentazioni non reggono. I sussidi fatti in questi anni a favore di multinazionali estere produttrici di gas determinerebbero una disponibilità di gas per il nostro paese nel migliore dei casi nel 2031. Insomma, ben oltre un lasso di tempo definibile come “stato d’emergenza”.

Come afferma Simone Ogno di ReCommon: “Sembra evidente che, dietro il mantra della sicurezza energetica, gli interessi tutelati siano quelli delle multinazionali energetiche, degli istituti di credito e delle agenzie di credito all’esportazione come SACE”.

In breve, invece di accelerare una transizione ecologica che permetterebbe di affrancarsi gradualmente dall’utilizzo di combustibili fossili (compreso il gas russo), l’Italia continua a difendere gli interessi di multinazionali come l’Eni.

L’imperativo ecologico

Nel 1979, il filosofo tedesco Hans Jonas, scriveva un saggio intitolato Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica”. Si tratta di uno dei primi tentativi da parte di un filosofo di affrontare la questione etica in ambito ecologico. A distanza di più di quarant’anni, penso che sia ancora importante riflettere sull’imperativo ecologico proposto da Jonas in quest’opera: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra.”

A fronte dell’ipocrisia della “corporate responsability” sbandierata da aziende come SACE o ENI, dovremmo recuperare un criterio umano che stia alla base dell’azione economica e politica. Per fare ciò bisogna osservare il dato ambientale per quello che è: il risultato di un modo di produzione che è incompatibile con l’ambiente e di conseguenza anche con “un’autentica vita umana sulla terra”.

L’importanza dell’ecologia politica

L’approccio di studio dell’ecologia politica, ovvero di quella disciplina che vede fenomeni economici, sociali, politici ed ambientali come necessariamente interconnessi e interdipendenti, è forse l’unico che ci può aiutare a ritrovare la consapevolezza che l’uomo non è separato dalla natura. Un sistema che è insostenibile a livello ambientale lo è anche a livello umano.

Con ciò non si intende solo che i danni irreversibili che stiamo causando all’ambiente rendono questo pianeta sempre più inabitabile. Si intende anche e soprattutto che quando il criterio dell’azione economica e politica è solo la massimizzazione del profitto, non esiste una società giusta, ma solo una che sfrutta gli esseri umani, così come le risorse naturali.

Virginia Miranda

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