Luca Nannipieri è un critico d’arte e saggista italiano. Scrive di arte e cultura sul settimanale Panorama e sul quotidiano Il Giornale ed è stato riconosciuto dalla stampa francese come uno dei critici d’arte italiani più mediaticizzati.
Ha infatti curato e condotto la rubrica “SOS Patrimonio artistico” su Rai1, al Caffè di Unomattina, da cui è stato tratto il libro “Bellissima Italia”, pubblicato da Rai Eri.
Nannipieri è tuttora spesso ospite del Caffè di RaiUno e viene invitato frequentemente come critico d’arte nei programmi di La7, Sky Tg24, Canale5 e RaiDue.
Ha inoltre fondato Casa Nannipieri Arte, una casa d’arte -in provincia di Pisa- per pubblicazioni e mostre d’arte contemporanea in Italia e all’estero.
A maggio di quest’anno Luca Nannipieri ha pubblicato “Capolavori Rubati” (Skira edizioni), nel quale illustra i casi più clamorosi di furti di opere d’arte, affrontando anche i traumi storici di saccheggi e spoliazioni coloniali e imperialiste.
Ultima Voce ha incontrato Luca Nannipieri per farsi raccontare di ladri d’arte, di com’è nata la sua passione -sbocciata insieme ai primi amori giovanili-; di cosa pensa di questo nostro paese, incapace di valorizzarsi; del potere e del fascino dell’arte che, da sempre, canalizza la bellezza dell’umanità.
Perché l’arte è potere, come hai spesso affermato?
L’artista entra in competizione con Dio nell’atto della creazione. La Cappella Sistina in Vaticano fatichiamo a credere che sia pensata dall’uomo, così come non sono umane le maree, le montagne, gli uragani. L’arte è potere, in quanto HA potere: ha il potere di innalzare l’uomo e renderlo capace di creazioni assolute, vertiginose, quasi come fosse Dio. Per questo i ladri rubano Caravaggio e Van Gogh e non i dentifrici o gli spazzolini da denti. Perché il valore economico esponenziale di certi capolavori è successivo al loro valore iconico, al loro testimoniare un potere dell’ingegno umano sul mondo, che forse nessun altro oggetto può affermare in modo così totale.
A proposito di ladri d’arte: ne parli anche nell’ultimo libro. Potresti tratteggiarne in breve la figura più ricorrente (ricco, povero, provenienza, livello culturale…) ?
Cesare Lombroso pensava che esistessero, dalla nascita, delle particolarissime fattezze anatomiche, di provenienza ereditaria, che contraddistinguessero il criminale dalla gente perbene. Sarebbe bellissimo che tutto fosse così facile: il male individuato da un tratto fisico, da una ruga, da un atavismo. Magari il male potesse essere così banale. I ladri d’arte non hanno caratteristiche comuni, perché l’arte viene rubata, saccheggiata, depredata, immessa nel contrabbando internazionale, per svariati motivi e da svariati protagonisti: il tombarolo laziale fa razzia di una necropoli etrusca del centro Italia per rivendere gli arredi funerari a mercanti e antiquari di professione e, a loro volta, a musei, fondazioni o collezionisti altamente facoltosi; proprio come è accaduto al Getty Museum di Los Angeles. Il ladro ruba la Saliera di Benvenuto Cellini a Vienna (quella che sta in copertina al mio libro “Capolavori rubati”, Skira) per chiedere un riscatto di 10 milioni di dollari. I rapinatori depredano due Van Gogh ad Amsterdam e vengono ritrovati, anni dopo, nella casa di un narcotrafficante in Campania, all’interno di una complessa partita tra trafficanti di cocaina. Lo storico e museografo Vivant Denon requisisce nelle nostre città migliaia di capolavori, per conto di Napoleone e ci costruisce il Louvre di Parigi. Non vi sono tratti comuni nei ladri d’arte, perché il furto di opere e antichità ha una pluralità assai vasta di motivazioni, molte delle quali giustificate socialmente, legislativamente o politicamente, nelle epoche passate e in quelle attuali.
Siamo il paese dell’arte e della bellezza: reputi che si dia sufficiente valore, da parte dei cittadini e dello Stato a questo patrimonio?
Siamo un paese essenzialmente di cogli**i, perché se hai Maradona e lo tieni in panchina a dormire, non sei un allenatore… Sei un cogli**e. Questa è la situazione dell’Italia: un settore così strategico a livello mondiale lo trattiamo come ultimo fanalino di coda in ogni riunione amministrativa, istituzionale o governativa. Dovrebbero essere invece il primo argomento da trattare, l’arte e il patrimonio storico artistico, con i flussi in crescita del turismo mondiale (in Europa vi sono circa 550 milioni di arrivi l’anno e sono numeri in aumento visto il graduale benessere che sta fortunatamente permeando larghi strati della popolazione media dei paesi popolosi come la Cina). Le Maldive valorizzano il mare e fanno bene. Noi siamo ancora lì a pensare alle patate e ai trattori.
Com’è nata a Luca Nannipieri la passione per l’arte?
Corteggiando le ragazze al liceo. Non ero bello, non ballavo, non andavo in palestra. Però, da una gita scolastica a Praga, mi resi conto che ero più seguito del mio professore di storia dell’arte quando spiegavo alle ragazze (e a quella con gli occhi mediorientali che amavo segretamente senza esserne ricambiato) i capolavori dei musei di Praga. Da allora ho intuito che l’arte potesse essere uno speciale strumento non solo per provare a sedurre, ma per capire.
L’opera a cui sei più emotivamente legato?
Uno storico dell’arte non si deve legare alle opere, perché il piacere della preferenza preclude il piacere della conoscenza. Se tu preferisci, anteponi alle ragioni dell’intelletto e della conoscenza, le ragioni della predilezione, della propensione, della simpatia, che sono ragioni emotive fragili, dettate dal momento. Uno studioso deve riflettere e conoscere: se si lega, smette di riflettere e conoscere.
Da critico, che suggerimenti ti sentiresti di dare ad un neo “artista”?
Se non vuole fare il disoccupato a vita, consiglio di studiare le Vite degli artisti scritte da Giorgio Vasari, per imparare che l’artista, da sempre, non è un individuo che si alza la mattina in attesa dell’ispirazione divina. È mestiere quotidiano, incontri con le committenze, le botteghe, i possibili acquirenti, i mecenati, l’immagine di se stesso, i divulgatori, i potenti, gli spazi pubblici. Sento troppi artisti lamentarsi che non vengono considerati, ma se ne stanno comodi-comodi a casa loro, senza nessuno spirito imprenditoriale ed economico che accomuna Michelangelo e Raffaello a qualunque pizzaiolo, falegname, panettiere, idraulico, giardiniere, cuoco: ovvero a persone che cercano di vivere con i guadagni del proprio lavoro.
Il più grande “nemico” del tuo mestiere?
Il più grande nemico per un critico e storico dell’arte è l’irrilevanza: sentire l’afonia pubblica della propria voce, essere non solo ignorato, ma addirittura impercettibile nello scenario civile; essere perso, come diceva Pier Paolo Pasolini, in un puro intuire in solitudine. Vado nelle televisioni nazionali, oltre a scrivere libri e fare conferenze, proprio per contrastare il pericolo sempre possibile in me dell’irrilevanza.
Il tuo sogno nel cassetto?
Il sogno, per non essere la speranza vana dell’idiota, deve avere delle sane basi di ragionevolezza. Alla fine della mia vita, mi piacerebbe essere ricordato e studiato come un padre della museologia moderna, ovvero essere colui che è stato capace di aprire un diverso rapporto tra il popolo e l’arte.