L’Italia e il suo oscuro passato coloniale: dimenticare o affrontare la verità?

Italia e il suo oscuro passato coloniale

L’Italia e il suo oscuro passato coloniale emergono dalle ombre della storia, pronti a sfidare la nostra interpretazione selettiva. Questo passato nascosto ha il potenziale per scuotere le fondamenta delle narrazioni tradizionali e sfidare l’immagine dell'”italiano brava gente”. La storia coloniale italiana è caratterizzata da violenze, deportazioni e politiche razziste, che hanno lasciato cicatrici profonde nelle comunità coinvolte.


C’è una parte della storia italiana, che sempre più leader politici e semplici cittadini, tendono a nascondere ai margini del dibattito pubblico nazionale, pur rappresentando una ferita mai completamente esposta alla luce. L’Italia, infatti, non ha mai affrontato le conseguenze dei crimini commessi durante il periodo coloniale, preferendo invece coltivare il mito degli “italiani brava gente” e alimentare una memoria selettiva del proprio passato coloniale, spesso denominato “colonialismo buono”.

L’idea di un colonialismo “buono” sembra diffondersi in tutto lo spettro politico, da destra a sinistra. Per questo motivo,  portare alla luce i crimini di guerra italiani e avviare un processo di analisi critica dovrebbe rappresentare l’obiettivo di una società civile che poco sembra avere a che fare con la nostra. Eppure, mettere il tema del colonialismo italiano al centro dell’attenzione, significherebbe spiegare il pregiudizio razzista che persiste nella società italiana, un razzismo quotidiano che può esplodere in episodi terribili o restare latente sotto la superficie.

La storia coloniale italiana può essere divisa in due fasi principali. La prima espansione, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, vide l’Italia colonizzare l’Eritrea, la Somalia e la Libia. Questa fase fu guidata da figure come Agostino Depretis, Francesco Crispi e Giovanni Giolitti.

La seconda fase ebbe luogo sotto il regime fascista, quando il maresciallo Pietro Badoglio e il generale Rodolfo Graziani furono incaricati da Mussolini di “pacificare” il Fezzan e la Cirenaica, con la tragica conseguenza di sterminare la resistenza armata e spopolare intere regioni. Questo comportò la deportazione di 100.000 abitanti dell’altopiano di Gebel nei campi di concentramento, con la morte di 50.000 persone dovuta a esecuzioni sommarie, fame e sete.

Tuttavia, la colonia italiana più conosciuta è l’Etiopia, conquistata dal regime fascista tra il 1935 e il 1936. Questa impresa militare gigantesca coinvolse carri armati, aviazione militare e bombardamenti, incluso l’uso di gas nervino. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, i governi italiani cercarono l’amministrazione fiduciaria delle colonie, ma l’Eritrea e la Libia non la ottennero, mentre la Somalia mantenne il collegamento con l’Italia fino al 1960.

Uno dei punti più bassi del colonialismo italiano è la strage di Addis Abeba del 1937, avvenuta il 12 Yekatit (19 febbraio nel calendario etiope). In quel giorno, in risposta a un tentativo di uccidere il viceré Rodolfo Graziani, i soldati fascisti massacrarono migliaia di uomini, donne e bambini. Queste violenze furono perpetrate da camicie nere e civili italiani, dando vita a una vera e propria “caccia al nero”, accompagnata da esecuzioni e incendi delle abitazioni.

Il colonialismo italiano non si limitò solo a stragi e deportazioni, ma fu anche caratterizzato da un apartheid razzista e sessista, con leggi e sentenze segregazioniste. Nel 1937, il governatore dell’Eritrea, Vincenzo De Feo, proibì la coabitazione tra cittadini italiani e sudditi autoctoni e stabilì pene per i “rapporti promiscui”, con l’obiettivo di mantenere la società coloniale “razzialmente pura”.

La storia coloniale italiana è piena di episodi oscuri che sono rimasti nascosti sotto un velo di oblio e minimizzazione. Lapidi, edifici e targhe stradali in tutta Italia “parlano invano del passato coloniale o ci ripetono che fu un’impresa eroica e patriottica”, come sottolineato dallo scrittore Wu Ming 2. Il collettivo Wu Ming ha lavorato duramente per mappare strade e monumenti con connotazioni coloniali. A Roma, vi sono ancora vie dedicate a figure come Reginaldo Giuliani, Antonio Locatelli e Alfredo De Luca, che portarono morte e distruzione in Etiopia con l’aviazione fascista. Piazza dei Cinquecento, davanti alla stazione Termini, è intitolata ai soldati italiani caduti nella battaglia del 1887 a Dogali, in Eritrea.

Un esempio significativo è il mausoleo dedicato a Rodolfo Graziani, situato nel borgo di Affile, fuori Roma. Questo mausoleo fu inaugurato nel 2012 da Francesco Lollobrigida, un politico che è stato assessore in regione e ora è ministro nel governo Meloni. Inoltre, il nome del “maresciallo dell’aria” Italo Balbo è presente in 21 vie d’Italia.

Nel 2020, a seguito delle proteste di Black Lives Matter, è stata lanciata una petizione per cambiare il nome della fermata Amba Aradam, sulla linea C della metropolitana di Roma, per rimuovere il riferimento alla cruenta battaglia della guerra d’Etiopia e intitolarla al partigiano italo-somalo Giorgio Marincola. Il consiglio comunale ha approvato mozioni in tal senso, e il nome della stazione sarà presto cambiato in Porta Metronia.

Esprimere la volontà di parlare di colonialismo significa sottolineare la necessità di “decolonizzare lo sguardo” e assegnare un significato più vero e giusto alle tracce del passato coloniale italiano. È arrivato il momento di affrontare questa parte oscura della storia italiana con un percorso di riflessione che coinvolga storici, istituzioni e scuole, senza più sperare nell’oblio. La verità e la comprensione sono i primi passi verso una riconciliazione con il passato coloniale italiano.

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