Il 18 giugno l’Iran ha votato per eleggere l’ottavo Presidente della Repubblica Islamica. Come previsto, il vincitore è stato Ebrahim Raisi, candidato favorito dalla Guida Suprema Ali Khamenei e dalla selezione del Consiglio dei Guardiani, che ha escluso i candidati riformisti più importanti. Abbiamo chiesto ad Antonello Sacchetti, giornalista e scrittore esperto di Iran, di aiutarci a capire quali saranno le prossime sfide per il paese e come evolveranno i rapporti internazionali dopo il rafforzamento del potere dei conservatori.
Cosa sappiamo del nuovo Presediente Ebrahim Raisi? Chi è e qual è il suo passato?
Ebrahim Raisi è un personaggio probabilmente un po’ più misterioso di come in questi giorni è stato rappresentato. È stato etichettato da subito come ultra-conservatore, anche per distinguerlo da una parte dei conservatori che sarebbero potuti essere i suoi avversari. Gli esclusi eccellenti dal Consiglio dei Guardiani per le elezioni sono un riformista, il vicepresidente uscente Eshaq Jahangiri, e Ali Larijani, un personaggio che ha attraversato diverse stagioni della Repubblica Islamica e che nasce come conservatore. Poi negli ultimi anni è diventato molto vicino a Rohani e quindi sarebbe diventato un conservatore moderato, ma non propriamente un riformista. L’unico riformista in competizione era Mohsen Mehralizadeh, che poi si è ritirato, ma aveva comunque pochissime chance di vittoria.
Più che ultra-conservatore potremmo definire Raisi come una sorta di eminenza grigia del sistema. È un personaggio relativamente giovane, considerando l’età dei dirigenti della Repubblica Islamica. Raisi ha 60 anni, ma ha iniziato la sua carriera molto presto. Ora abbandonerà il ruolo di Capo della Magistratura, che è un ruolo importante, dopo un incarico di circa due anni. Prima era stato presidente di una fondazione importante, Astan Quds Razavi, che fa capo al santuario dell’Imam Reza e aveva ricoperto vari ruoli in molti organi della Repubblica Islamica.
È ricordato soprattutto per aver fatto parte del cosiddetto “tribunale della morte” nel 1988.Si tratta di uno dei passaggi più drammatici della storia della Repubblica Islamica, di cui Raisi fu uno degli artefici, e fu tra i responsabili delle esecuzioni di migliaia di prigionieri politici.
Di fatto è difficile oggi dire che tipo di presidente potrà essere, sicuramente possiamo dire quello che non sarà. Possiamo escludere che sarà un nuovo Ahmadinejad, perché Raisi ha tutto un altro tipo di provenienza politica, ovvero quella del clero. Peraltro su questo c’è anche un elemento di confusione sul suo titolo e non è chiaro se sia un ayatollah o un hojjatoleslam, che è un grado inferiore nella gerarchia religiosa. Quindi quando si parla della sua successione come Guida Suprema non è chiaro se abbia effettivamente le credenziali. Raisi è sempre stato in una vicinanza quasi simbiotica con la Guida Ali Khamenei, sposando quasi tutte le sue scelte.
Durante la sua prima conferenza stampa sono stati sottolineati i suoi toni duri nei confronti dell’Occidente, ma quello che mi pare più evidente è la scarsa capacità oratoria, che per un religioso è abbastanza strano ed è un difetto grave. Sicuramente ha un’immagine molto diversa da quella di Rohani, molto più austera. Ma per il momento non ci sono intenzioni chiare: probabilmente possiamo aspettarci meno accondiscendenza nei confronti dell’Occidente.
Sono ancora in corso i negoziati a Vienna per rianimare l’Accordo sul Nucleare (JCPOA) da cui gli USA erano usciti unilateralmente nel 2018 per volontà dell’ex-Presidente Donald Trump. Ora che l’Iran è saldamente in mano ai conservatori quest’intesa sarà più difficile da raggiungere? E come gestirà questa sfida Raisi?
Innanzitutto c’è un aspetto di ordine storico. In genere gli accordi più duraturi sono quelli fatti dai conservatori. Proprio perché stipulati da una parte più conservatrice sono meno attaccabili. Sembrerebbe una contraddizione, ma in fondo in questi anni Rohani ha scontato un doppio ostacolo, che è quello classico di tutti i riformisti o di chi vuole cambiare le cose in un contesto di conservazione, cioè di dover convincere la propria parte e l’opposizione. Purtroppo le cose sono andate male, non per colpa di Rohani, perché il ritiro di Trump è stato unilaterale e anche contro un parere espresso diverse volte dall’AIEA secondo cui l’Iran stava rispettando le condizioni dell’Accordo.
Per quanto riguarda le trattative in corso a Vienna sembra che siano stati fatti dei passi in avanti. Quindi un’ipotesi è che possa essere il governo uscente a raggiungere un accordo. Cosa che sarebbe una liberazione per lo stesso Raisi, che si troverebbe in regalo un accordo che però potrebbe sempre disconoscere, perché non stipulato da lui.
Il punto essenziale è che di questo accordo ha bisogno anche Raisi. Dopo un anno e mezzo di pandemia, le sanzioni, la situazione economica gravissima, la campagna vaccinale a rilento, sarà dura aspettarsi una piena ripresa in tempi rapidi.
Il punto però è cosa mettere nell’accordo, anche in base a quanto Biden è disposto a cedere. Sicuramente il team di negoziatori cambierebbe con Raisi e credo che difficilmente si potrebbe trovare una continuità con la squadra di Rohani. Quindi da una parte potrebbe rappresentare un grosso ostacolo. Dall’altra la situazione è talmente grave e urgente che probabilmente sarà questa urgenza a determinarla, più di una volontà politica.
Nello scenario regionale del Medio Oriente come potrebbero cambiare gli equilibri, soprattutto in riferimento a Israele e Arabia Saudita?
Con l’Arabia Saudita erano già in corso da diversi mesi tentativi di riavvicinamento e credo che probabilmente si arriverà in tempi non lunghissimi a una forma di normalizzazione dei rapporti, che negli ultimi anni sono stati veramente molto difficili. Tuttavia è difficile riscontrare in Raisi una chiara politica internazionale perché non è un personaggio così incline ad avere queste frequentazioni internazionali. L’altra situazione importante e vicinissima all’Iran è quella dell’Afghanistan, che vedrà nei prossimi mesi il ritiro degli americani.
Per quanto riguarda Israele un presidente come Raisi è in genere quello auspicato da qualsiasi leader israeliano perché permette di demonizzare l’Iran con grande facilità. Così come lo era stato Ahmadinejad, anche se escluderei che Raisi possa avere delle esternazioni così violente o clamorose. Lo vedo più come un conservatore per certi versi più simile a Rafsanjani come stile. Sicuramente non sarà gradito né a Israele né alle cancellerie occidentali. Resta il fatto che finché non saranno normalizzate alcune questioni come quella del nucleare ovviamente rimarranno in campo ipotesi molto pericolose. E la parte di Raisi sicuramente è molto meno disponibile a quella che Khamenei definì come “pazienza strategica” rispetto a Rohani.
Quali sono le proposte di Raisi per quanto riguarda la politica interna, soprattutto sul fronte economico e sulla gestione della pandemia?
Nei tre confronti elettorali a cui ho assistito sono state dette dichiarate tante bellissime intenzioni, ma poi nel concreto delle misure da proporre non è stato detto nulla. Raisi insisteva molto sul rilancio industriale sulla necessità di attrarre investimenti.
In questa campagna elettorale si è parlato essenzialmente di economia, ma non ci sono state proposte concrete. È chiaro che il paese avrebbe bisogno di riforme molto forti, anche traumatiche. In questi ultimi anni a causa delle sanzioni la dipendenza dalle esportazioni del petrolio è venuta meno, ma bisogna vedere quale sarà la linea del nuovo governo.
In ballo ci sono sì rapporti con l’Occidente e l’auspicio di vedere ritornare anche delle partnership e delle relazioni commerciali con l’Europa. Ma c’è anche l’accordo con la Cina che è stato stipulato lo scorso anno e che in realtà fa oramai della Cina il principale interlocutore commerciale dell’Iran. L’Iran in questo momento ha bisogno della Cina perché se non avesse acquistato il petrolio iraniano l’Iran non ce l’avrebbe fatta nei mesi passati e non ce la farà in quelli futuri.
Non so quale margine di manovra ci sia e quale possa essere l’impostazione politica o culturale in campo economico da parte di Raisi perché in questi anni non l’ha mai manifestato. È un personaggio che finora non è andato al di là di dichiarazioni demagogiche e populistiche in cui ha saputo sicuramente soffiare sul fuoco.
Ci si aspettano nuove proteste significative dopo queste elezioni?
Dipende dalla situazione economica. Credo che le prossime proteste, così come le ultime che sono avvenute, avranno un fattore scatenante economico, non essenzialmente politico come quello del 2009, anche se si sommavano a criticità economiche. Ma le situazioni del 2017, del 2019 e quella attuale sono molto problematiche. Sappiamo che ha votato il 48,8% degli aventi diritto, tra questi il 12% ha votato scheda nulla.
Questo ci dà la misura di due cose: la prima è il malcontento degli iraniani. La seconda del fatto che queste notizie siano emerse e non sia stato possibile censurarle e che il sistema può contenere fino a un certo punto il malcontento.
È vero che Raisi è stato favorito dal Consiglio dei Guardiani, che ha bocciato gli altri candidati, e dal fortissimo astensionismo soprattutto nelle grandi città. Ma rispetto a quattro anni fa ha guadagnato più di due milioni di voti. Questo perché secondo me ci sono diversi tipi di protesta.
C’è un malcontento generale di protesta nei confronti del sistema della Repubblica Islamica, che si vede nel dato dell’astensionismo record nelle presidenziali. Ma c’è anche chi ha votato Raisi per protesta, per delusione nei confronti di Rohani.Se non si alleggeriranno le sanzioni e non ci saranno dei miglioramenti nell’economia rischiamo di vedere un’ondata di protesta simile a quella del 2019, che è stata violentissima.
Ci saranno ulteriori restrizioni sui diritti civili con il rafforzamento del potere dei conservatori?
Credo che più che una stretta non ci sarà nessuna evoluzione. Questo già era difficile con altri governi perché comunque tutte le redini sono tenute dal Consiglio dei Guardiani, dalla Guida e della Magistratura, che per tradizione è appannaggio dei conservatori. In questo momento un tema all’ordine del giorno in Iran è quello dei diritti dei lavoratori. È un tema importante perché i cambiamenti principali in Iran sono avvenuti quando i lavoratori sono scesi in campo, come nella Rivoluzione del ’79. Ovviamente è difficile prevedere cosa potrebbe accadere in termini di diritti delle minoranze o delle donne. In campagna elettorale erano diventati tutti femministi, facevano a gara a chi proponeva più ministre. Sicuramente Raisi sceglierà qualche donna come ministro, ma non sarebbe una novità. Per quanto riguarda le minoranze sembra che Raisi si sia guadagnato il favore la minoranza sunnita.
Quello che temo di più è la questione relativa alla libertà di espressione e di stampa, che è a dir poco problematica in Iran. Qualora il nuovo governo prendesse decisioni poco gradite alla popolazione in termini economici è facile immaginare anche una stretta su tutto quello che riguarda la libertà di espressione.
Quando nel 2019 venne chiuso Internet in tutto il paese a causa delle proteste Raisi era il Capo della magistratura. E lo stesso Raisi durante i dibattiti televisivi ha detto che lui è contrario ad ogni forma di censura su internet e si è presentato come grande difensore dei diritti umani.
Molti osservatori pensano che l’elezione di Raisi sia funzionale alla sua successione come Guida Suprema. Resta però in dubbio se Raisi abbia il carisma, le capacità e il sostegno necessario per questo ruolo. È un’opzione plausibile o semplicemente un confronto con il passato, quando Khamenei diventò Guida Suprema dopo essere stato Presidente della Repubblica?
Sì, questo è stato un confronto che si è molto sentito in queste settimane. Cioè il bisogno di un passaggio di consenso, perché altrimenti questa eventualità non sarebbe plausibile. La successione di Raisi è una delle opzioni, bisogna anche vedere in quali condizioni ci si arriverà. C’è anche chi dice che la prossima Guida Suprema non sarà una persona sola, ma un gruppo di tre persone. Ci sono diverse ipotesi. Probabilmente come Guida Raisi non avrebbe il carisma di Khamenei. Ma lo stesso Khamenei per tanto tempo è stato bollato come una persona assolutamente incolore, incapace di gestire il potere. Invece ha mantenuto il potere per 32 anni, attraversando diverse stagioni. È anche vero che con il tempo il ruolo della Guida è cambiato: quello di Khamenei non è lo stesso che aveva interpretato Khomeini. È probabile che la prossima Guida sia ancora meno importante e carismatica rispetto a Khamenei.
C’è anche l’ipotesi che la prossima successione non sia semplicemente un passaggio di stagione, ma la fine di un’era, un cambio epocale in cui la Repubblica Islamica entra in una fase nuova in cui ci saranno nuovi gruppi di potere che cercano di governare. Il punto essenziale è che il clero combattente, quello che ha fatto la Rivoluzione, sta uscendo di scena. O comunque ai suoi ultimi rappresentanti, tra cui Raisi, non è subentrata un’altra generazione di clero combattente.
La maggior parte del clero sciita attuale non è così politicizzato e comunque non ha la forza per governare il paese. I gruppi di potere venuti dopo sono altri: quelli legati ai pasdaran, ai basij (come nel caso di Ahmadinejad) o direttamente le forze militari. Che però non sono un elemento così omogeneo come lo pensiamo noi. E se si fosse voluto un passaggio di questo tipo avrebbero ammesso i candidati pasdaran che si erano presentati e che invece sono stati bocciati dal Consiglio dei Guardiani.
Si stanno scontrando tante anime nella Repubblica Islamica e che per quanto a noi possano sembrare più o meno simili in realtà sono diverse tra loro. In questo momento il vero anti-sistema, quello che veramente sta tuonando da settimane contro la scelta dei candidati, contro le stesse elezioni, è Ahmadinejad. Lui si è candidato sapendo benissimo che sarebbe stato bocciato, ma lo ha fatto per farsi bocciare e potersi presentare come uno che è stato escluso dal sistema.
Qual è il bilancio degli 8 anni dell’amministrazione moderata di Rohani e quale sarà il futuro per la classe dirigente moderata e riformista?
Gli 8 anni di governo Rohani sicuramente sono iniziati con un successo perché il principale obiettivo, cioè il dialogo con l’Occidente, si era concretizzato in poche settimane. Le intenzioni erano ottime, i risultati inizialmente c’erano perché l’Iran aveva vissuto una ripresa economica, un contenimento dell’inflazione. Purtroppo come spesso accade in politica contano più i risultati finali, non come è iniziata la partita. E il risultato finale è stato disastroso da un punto di vista politico ed economico. Dal punto di vista dei diritti Rohani ha potuto fare ben poco, perché il paese vive in una situazione istituzionale abbastanza complicata che non dà al Presidente dei poteri illimitati.
Sicuramente oggi c’è una grandissima delusione, così come fu anche dopo gli anni di Khatami. Nel caso di Rohani però va tenuto in conto che gli si è abbattuta addosso una disgrazia epocale come l’elezione di Trump. Non che prima andasse tutto a meraviglia, perché l’Accordo aveva mostrato dei limiti già con Obama. Comunque la mossa di Trump era inconcepibile e ha lasciato anche un’eredità di sfiducia nei confronti di un eventuale prossimo accordo.
La vera sfortuna di Rohani è stato Trump, ma sicuramente il movimento riformista ha delle colpe proprie. Ricordiamo sempre che Rohani è un moderato, non un riformista. In ogni caso tutto il movimento riformista-moderato ha saputo produrre pochissimi personaggi nuovi, riproponendo sempre le stesse facce. La delusione era fortissima e infatti l’unico candidato “moderato” Hemmati ha preso pochissimi voti. Questo è un problema che esiste ormai da anni del movimento riformista, anche se non possiamo dire che sia sconfitto per sempre. Per dirla con una battuta: fare delle previsioni sull’Iran è semplicemente da folli.
A questo link l’intervista completa
Giulia Della Michelina