Perché alcune parole vengono percepite come più volgari rispetto ad altre, nonostante indichino lo stesso referente?
È una questione di lingua e tabù: a causa di un uso ripetuto, i termini che si riferiscono ad argomenti che generano paura, repulsione o vergogna si deteriorano. In questo modo, finiscono per acquisire la stessa carica negativa associata al referente che indicano. Per questo, sono sostituiti dagli eufemismi, ossia parole percepite come meno dirette e offensive. Anche questi ultimi, però, sono soggetti a deterioramento. Questo spiega perché nella nostra lingua esistono tantissimi sinonimi per indicare, ad esempio, gli attributi sessuali.
È morto, è scomparso, ha tirato le cuoia
La morte è il tabù per eccellenza. Sono molti gli eufemismi usati, per paura o per delicatezza. Ad esempio, è deceduto, è venuto a mancare, si è addormentato. Queste espressioni possono essere basate sulla metafora della morte come sonno eterno, o come assenza. Esistono poi i disfemismi, ossia espressioni dispregiative usate con accezione denigratoria e offensiva. Tra questi ci sono è schiattato, è crepato. In questo caso, la loro funzione potrebbe essere anche quella di esorcizzare la paura della morte attraverso il black humor.
Cancro, la malattia che non si dice
In relazione a lingua e tabù, anche le parole che indicano le varie patologie sono spesso sostituite da espressioni più velate. Il cancro, ad esempio, che rappresenta la malattia più temuta nella nostra epoca, può essere genericamente chiamato malattia incurabile, brutto male. Ricorrendo alla terminologia di settore, vi si può fare riferimento anche con il termine carcinoma. Un eufemismo usato in passato per indicare l’epilessia è male benedetto. In questo caso, si cerca di scongiurare il timore della malattia attribuendole una connotazione positiva.
Fare le cose zozze: lingua e tabù sul sesso
In questa categoria rientrano sia le espressioni che fanno riferimento all’atto sessuale, che le parole che indicano gli organi sessuali. Nel primo caso, si usano eufemismi come dormire con, andare a letto con. Relativamente al secondo caso, invece, è interessante ripercorrere la storia del termine fica. Derivante dal greco con il significato di frutto del fico, questa parola veniva usata per indicare metaforicamente l’organo sessuale femminile. Nel passaggio alla lingua volgare, questa accezione ha finito per surclassare il significato originario. Infatti, nella lingua italiana, il frutto si indica con il genere femminile, mentre l’albero è al maschile. Nel caso del fico, però, il maschile è usato sia per la pianta che per il frutto.
Perché usiamo gli eufemismi?
Lingua e tabù hanno un legame molto radicato. Prima ancora di imparare il significato delle brutte parole, i bambini sono sottoposti a un sistema di censura. La riprovazione sociale genera il meccanismo di inibizione associato a questi termini. Basti pensare che pronunciare parole volgari in un’altra lingua, appresa in età adulta, non genera lo stesso senso di disagio nel parlante.
Laura Bellucci