Trovare il proprio essere nella lingua
“Lingua e essere”, di Kübra Gümüşay, pubblicato da Fandango Libri, è un libro che insegue un sogno: la libertà. La libertà nella lingua di essere se stessi, perché la lingua è il nostro mezzo, per presentarci, per farci comprendere e per comprendere a nostra volta ma spesso crea delle barriere, delle prigioni invisibili dove gli esseri umani sono rinchiusi.
“Lingua e essere” Kübra Gümüşay, un racconto autobiografico in un saggio politico
Kübra nasce ad Amburgo ma ha origini turche e nel libro ripercorre le sue lingue: il tedesco, il turco, l’arabo e l’inglese associando ad ognuna di esse una parte di sé. Lingua e essere è un saggio con riferimenti autobiografici dove l’autrice, poliglotta, ripercorre le sue lingue e il suo rapporto con queste, il suo tentativo di dominare una lingua che non è la sua -il tedesco- per essere accettata dalla società come essere umano. Un libro che parla di discriminazione, di razzismo, un libro politico che affronta molti temi, tutti strettamente collegati tra loro dal denominatore comune della lingua:
“I rapporti tra la lingua e la disumanità politica – per me è questo l’argomento del libro. E come si possa parlare diversamente, in modo più umano”.
La lingua che plasma l’essere di chi non possiede la lingua
La ricerca dell’autrice la porta a porsi domande su come e quanto la lingua si presta a creare eterostereotipi: pone una divisione tra gli “innominati”, che sono le persone “normali”, che decidono in ottica -ancora- colonialista chi e cosa è diverso: i “nominati”. Gli innominati sono anche coloro che nominano, ma nel farlo non tengono conto dell’individualità dei nominati, i quali non corrispondono ai loro standard, sono diversi, strani. Gli innominati/nominanti nominano collettivamente i nominati, creano una categoria, uno stereotipo per riuscire a capire chi sono tutti, non singolarmente. Così i nominati perdono l’individualità davanti a chi non è nominato, -e non ha bisogno di esserlo perché alcune caratteristiche (essere bianco o essere uomo) sono implicite- vengono disumanizzati.
Lingua come libertà, lingua come prigione
La Gümüşay racconta di aver partecipato a diversi talk show a tema Islam, dove il suo compito era di testimoniare la donna musulmana in occidente. Così le donne musulmane che portano il velo, per scelta o meno, vengono tutte prese come assolute rappresentanti dell’Islam, di tutte le donne che portano il velo. Perché gli occidentali, bianchi etero cisgender -uomini ma anche donne- si aspettano di ricevere le risposte alle loro domande, si prendono il diritto di chiedere per soddisfare le proprie curiosità, hanno l’ingiustificata pretesa di ricevere spiegazioni razionalizzate della religione, sessualità, vita privata di chi non corrisponde ai loro standard.
Lo scopo di “Lingua e essere” di Kübra Gümüşay
Lo scopo del libro, ben raggiunto, è di far capire che le parole hanno sempre un peso e le intenzioni non giustificano le parole, perché queste possono sempre risultare offensive mancando di rispetto a chi le ascolta. Mentre chi le ascolta, dopo qualche tempo, si abitua a quel disagio che provocano le parole sbagliate e si trova a far finta di niente o a giocare lo stesso gioco.
Il potere della lingua
La lingua ha l’immenso potere di plasmare gli individui dando loro, fin da piccoli, delle etichette: così nessun bambino bianco si dovrà mai giustificare del perché sta in quella scuola
“[…] Non sono tenuti a sapere dove sono nati i loro genitori, i loro nonni, i loro bisnonni e i loro trisavoli e perché non ci tornano. Non devono spiegare perché non stanno da un’altra parte ma stanno lì. E poi ci sono gli altri bambini, i bambini degli Altri, che non soddisfano questa norma.”
Gli altri bambini invece dovranno da subito imparare e mostrarsi sorridenti, sforzarsi di far capire che non sono pericolosi.
Trovare una lingua che rispetti l’essere
Kübra Gümüşay scrive in modo critico e lucido delle sue esperienze e non solo, dando un quadro generale di quanto effettivamente la lingua sia il mezzo per eccellenza dell’esclusione, del disagio, della disumanizzazione e come l’essere individuale, a causa dell’uso della lingua, venga spazzato via. L’autrice di “Lingua e essere” si pone un obiettivo nobile e difficilissimo da raggiungere: trovare una lingua inclusiva, che rispetti l’essenza di ogni individuo e che non sia il rifugio dei nominanti per etichettare le minoranze. Usare la lingua per normalizzare e non discriminare, per parlare al singolo, alla sua umanità, perché
“abbiamo bisogno di essere consapevoli della nostra fallibilità. E abbiamo bisogno di luoghi in cui mettere alla prova il futuro, nei quali possiamo esercitarci a parlare in modo nuovo: dubbioso, riflessivo, critico, a volte a bassa voce, a volte ad alta voce – e sempre con benevolenza.”
La lingua può essere una prigione ma possiamo scegliere la libertà -e la giustizia-, per tutti.
Virginia Maggi