L’inganno sul grano ucraino. Oxfam denuncia: soltanto il 3% delle esportazioni è andato agli Stati più poveri del mondo

L'inganno sul grano ucraino

In questi giorni Oxfam ha denunciato il triste inganno sul grano ucraino, evidenziando come nel corso di questo primo anno e mezzo di guerra i Paesi più ricchi siano riusciti ad accaparrarsi l’80% delle esportazioni del prezioso cereale proveniente dall’Ucraina mentre alcuni Stati poveri e sull’orlo di una carestia alimentare, come il Sudan e la Somalia, avrebbero beneficiato di appena il 3% delle derrate esportate.

All’incertezza generale, provocata dal mancato rinnovo dell’accordo sulle esportazioni di grano tra Kiev e Mosca, si è aggiunta  la denuncia di Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief) di questi giorni che ha sfatato l’inganno del grano ucraino portato avanti ormai da diciassette mesi.

I dati raccolti dalla  Confederazione internazionale delle organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, mostrano come  l’accordo di un anno fa, mediato dall’Onu e dalla Turchia, fra Kiev e Mosca, sull’export del prezioso cereale proveniente dall’ucraina, sia riuscito soltanto a contenere l’impennata dei prezzi provocata dalla guerra, senza porre nessun freno alla drammatica ascesa della fame globale, sempre più diffusa tra gli stati del sud del mondo.

Oggi, sul pianeta, la fame globale colpisce almeno 122 milioni di persone in più rispetto al 2019, come ribadito anche da Francesco Petrelli, policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia.  Nel 2021, prima che la Russia invadesse l’Ucraina, nel mondo le persone che soffrivano la fame erano 828 milioni, secondo le stime della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. 

Più di un anno fa, con l’inizio del conflitto, l’amministratore delegato del Fondo monetario internazionale (FMI), Kristalina Georgieva, aveva dichiarato che la guerra in Ucraina avrebbe significato fame per l’Africa, sottolineando il fatto che Russia e Ucraina sono tra i cinque maggiori esportatori di grano nel mondo, oltre ad essere tra i principali produttori di fertilizzanti, mais e olio di girasole. 

Perché l’accordo sul grano non ha fermato la fame globale

Con l’ultimo accordo sul grano, tra Russia e Ucraina,  il Programma alimentare Mondiale era riuscito a fornire aiuti a una decina di nazioni in difficoltà, tra cui Afghanistan, Sudan e Yemen. Tuttavia, in molti di questi Paesi, la percentuale di grano consegnata è stata pressoché irrisoria rispetto alle reali esigenze alimentari della popolazione.


Basti pensare che, con l’entrata in vigore dell’accordo,  Paesi come il Sud Sudan e la Somalia, tutt’oggi a rischio carestia,  hanno ricevuto soltanto lo 0,2% del grano ucraino. E nel prossimo futuro la situazione è destinata a peggiore ulteriormente se le cose non cambiano. Secondo l’ultimo rapporto FAO sulla sicurezza alimentare, nel 2021 le persone che non hanno potuto permettersi una dieta adeguata sono state oltre 3,1 miliardi, pari al 42% della popolazione mondiale.

Nel 2022, l’anno dell’invasione russa dell’Ucraina, 2,4 miliardi di persone,  corrispondenti al 30% della popolazione mondiale, erano moderatamente o gravemente insicure dal punto di vista alimentare. In Somalia, uno dei Paesi vittima dell’inganno sul grano ucraino, almeno 1 persona su 3 soffre di malnutrizione acuta mentre il Paese sta affrontando la più grave siccità degli ultimi 40 anni. Soltanto nell’Africa orientale e nella zona del Sahel, sono oltre 8 milioni i bambini sotto i cinque anni, un numero equivalente quasi all’intera popolazione della Svizzera, che soffrono di malnutrizione acuta.

La necessità di un intervento sull’attuale sistema alimentare mondiale

Nel 2022, l’intesa raggiunta tra Mosca e Kiev sulle esportazioni di grano ha permesso di portare fuori dal territorio ucraino quasi 33 milioni di tonnellate di prodotti agricoli in 45 paesi. Eppure, tutto ciò ha soltanto aggravato le disuguaglianze nell’attuale sistema alimentare mondiale. Infatti, una parte del pianeta ha continuato a esportare in modo concentrato ed estensivo, anche in tempi di guerra, prodotti di prima necessità solo per alcuni Paesi, lasciando indietro tutti gli altri.

Grazie a questo sistema, nel corso di quest’anno e mezzo di guerra i Paesi ricchi si sono accaparrati l’80% del grano e dei cereali usciti dall’Ucraina, mentre gli Stati più poveri si sono dovuti accontentare letteralmente delle briciole.

Oggi, in un clima di forti tensioni internazionali e con una guerra in corso nel cuore dell’Europa, se si vuole affrontare sul serio la crisi alimentare dilagante sul pianeta non si può prescindere dalla programmazione un intervento strutturale sul sistema alimentare mondiale, stravolgendolo completamente, come sottolineato anche da Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia:  “Per combattere davvero la fame dobbiamo ripensare subito e radicalmente l’attuale sistema alimentare mondiale, a maggior ragione oggi che questo accordo non è più in discussione”

In una parola, per cercare di affrontare di petto il tema dell’insicurezza alimentare, il  modo migliore è diversificare la produzione anche sul piano delle politiche alimentari. Poiché soltanto diversificando e investendo nei piccoli agricoltori, soprattutto nei Paesi più poveri, sarà possibile promuovere modelli di agricoltura circolare e sostenibile. Ad essere ottimisti, nel lungo periodo, questo approccio potrebbe persino instaurare un circolo virtuoso capace di attenuare la dipendenza verso specifiche fonti di approvvigionamento alimentare come è accaduto nel caso del grano ucraino.  Questo modo di agire, oltre a rendere più gestibili gli  eventuali shock che in futuro potrebbero generare fame e carestie nelle regioni più povere del mondo, consentirebbe ai Paesi occidentali di essere anche strategicamente più disinvolti nelle relazioni con Stati estremamente ricchi sul piano delle risorse alimentari ma con una forte instabilità politica al loro interno.

Tommaso Di Caprio

 

 

 

 

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