Immancabile e puntuale, come le telefonate dei call-center quando stai per addormentarti, è arrivato anche il picco dell’influenza.
Questa rara occasione di stop – che potrebbe magari essere spesa per finire quel libro iniziato nel 1998 e ancora fermo a pagina tre – diventa invece, per molti, uno strano esercizio linguistico, masochista e controproducente.
Una lotta al superlativo più assoluto. Una battaglia senza esclusione di morbi. Una guerra all’ultima ipocondria. L’apocalisse del “tu non sai come mi sento”.
Roba che neanche la più sfrenata fantasia del miglior Molière poteva concepire.
“Quando si tratta di malattie, non direi mai di essere un ipocondriaco. Semmai sono un allarmista. Non è che mi senta malato di continuo, ma quando mi ammalo penso subito che sia la volta buona.”
Woody Allen
Ti sei accorta/o anche tu che spesso – quando le persone parlano di malanni lievi o comunque serenamente risolvibili – influenza, acciacchi, dolorini vari etc. tendono ad esagerare il loro stato usando frasi come:
- Sto malissimo;
- Sto soffrendo;
- Nessuno sta peggio di me;
- Sono distrutto. E’ come se avessi fatto un frontale con un treno merci.
Quelle che preferisco particolarmente sono le gare di malattia. Qualcosa che suona più o meno come:
- “Ah e che cos’è quella tosse? Io ho una broncospasmopolmoniteanchilosante col tarapia tapioco e lo scappellamento a destra per due”;
- “Ah cosa sarà mai quella febbriciattola a 40? Io ogni giorno arrivo a 50-55, il termosifone mi sta vicino per riscaldarsi.”
Voglio precisare che non intendo ridicolizzare chi sta effettivamente affrontando una stato di malessere.
Se è vero che da un lato lo stato di salute può essere indipendente dalla nostra volontà, è altresì vero che hai tutto il potere e gli strumenti per agire sull’atteggiamento con il quale lo affronti.Tendiamo spesso a sottovalutare l’immenso potere delle parole. Dobbiamo ricordarci che la prima persona, ad essere influenzata dai termini con cui descriviamo la realtà, siamo noi stessi. Sono le nostre parole a disegnare i paesaggi emozionali che attraversiamo.
Immagino cosa stai pensando: “Da domani sostituisco la tachipirina con due pastiglie di Zanichelli da sciogliere in acqua, prima dei pasti”.
Gioca con le parole per vincere.
Beh non proprio, ma proviamo insieme a fare un piccolo esercizio, basandoci sulle affermazioni dei nostri amici ipocondriaci di qualche rigo fa.
Come cambiano le tue sensazioni se, invece di ripeterti sto malissimo, sto soffrendo, sono distrutto, con l’espressione impaurita e piangente stile Wendy di Shining, ti guardi allo specchio dicendoti: “è una seccatura passeggera”. Magari assumendo l’espressione malconcia e fiera di Bruce Willis mentre interpreta John McClane?
Sono degli esempi volutamente esagerati. Utili a strappare una risata potente e salutare. Tuttavia gli esperimenti dei neuroscienziati, sulle relazioni tra parole ed emozioni, tendono a rafforzare questi legami. Immagina quindi come, nella vita quotidiana, i termini che esprimi possono potenziare l’energia con la quale affronti le tue giornate. Dai colore, suono, gusto alle espressioni che usi per raccontarti le tue giornate.
Termini e predicati verbali quali fantastico, alla grande, orgasmico, mitico, spettacolare etc. possono dare maggiore vigore emozionale alle tue sensazioni.
In buona sostanza, come affermava già Carlo Levi: “le parole sono pietre”. A noi rimane il potere di lanciarle in acqua per farle rimbalzarle senza motivo o costruirci i mattoni del nostro benessere.
Daniele Fiorenza