L’infanzia negata dei bambini palestinesi

infanzia negata dei bambini palestinesi

L’infanzia negata dei bambini palestinesi è al centro della documentazione di numerose organizzazioni internazionali, come Save the Children e Defense for Children international, che nel corso degli anni hanno denunciato la piaga degli arresti amministrativi dei minori e le violenze compiute dai soldati israeliani. I bambini palestinesi strappati al tempo della gioia e della spensieratezza e costretti a crescere troppo in fretta, vengono a contatto con gli aspetti più brutali del mondo degli adulti.

Come ha evidenziato Jason Lee, direttore nazionale di Save the Children nei Territori palestinesi sotto occupazione israeliana, i bambini palestinesi sono gli unici al mondo a subire un processo sistematico nei tribunali militari.

La legge israeliana prevede infatti la possibilità di arrestare i bambini di 12 anni, tuttavia spesso anche minori di 5 anni finiscono per essere sottoposti alla pratica brutale degli arresti amministrativi senza alcun capo d’accusa. Basta solo che un bambino compia “gesti provocatori”, come fare la linguaccia o lanciare un sassolino contro un militare dell’IDF, per ritrovarsi privato della libertà personale.

Diverse organizzazioni internazionali, come Defense for Children international e Save the Children, hanno messo in luce l’infanzia negata dei bambini palestinesi denunciando la piaga degli arresti arbitrari. Dalle interviste e testimonianze raccolte emerge un quadro drammatico, i militari armati fino ai denti irrompono nelle case in piena notte, bussano con veemenza alla porta o addirittura lanciano gas lacrimogeni, urlano ai componenti della famiglia di uscire. Nella maggioranza dei casi riportati, l’esercito israeliano nel corso di queste incursioni violente distrugge mobili, finestre, porte e ogni oggetto che gli capiti davanti, rivolge minacce verbali, lancia accuse, e infine porta via il minore.

Il report di Save the Children del 2020

Il report di Save the Children del 2020 dal titolo “L’impatto della detenzione militare israeliana sui bambini palestinesi” oltre a rappresentare un duro atto d’accusa contro il sistema di oppressione e apartheid israeliano che non risparmia nemmeno i minori, prende in esame circa 470 casi, di bambini e ragazzini, di età compresa tra i 10 e i 17 anni al momento in cui è avvenuto l’arresto.

Nel report si legge:

“La maggior parte ha riferito di essere stato soggetto ad un arresto violento o stressante, avvenuto per lo più di notte; interrogazioni in stato di costrizione; abusi fisici e psicologici durante la detenzione; diniego di servizi essenziali inclusa una istruzione adeguata: tutte circostanze che costituiscono violazione dei loro diritti sanciti dal diritto internazionale”

In particolare, si fa luce sulla pratica degli “interrogatori coercitivi”, evidenziando come sempre più bambini palestinesi regolarmente vengano sottoposti ad estenuanti interrogatori che possono durare anche per settimane, senza che sia garantita neppure la presenza dei genitori o di un legale. Minacce di morte e violenze, sono i metodi usati per estorcere confessioni. Alla fine infatti, legati alla sedia per ore e stremati, i minori cedono alla pressione e finiscono per confessare colpe che non hanno.

La ricerca ha evidenziato anche le conseguenze psichiche dell’infanzia negata dei bambini palestinesi, i traumi provocati dagli abusi fisici e psicologici inflitti durante la detenzione hanno un impatto devastante sulla loro salute mentale e sono causa di disturbi quali ansia sociale, depressione, cambiamenti del comportamento, fallimenti scolastici, disordini del sonno e alimentari.

Injustice, report di Save the Children del 2023

Nel 2023 sempre un’inchiesta di Save the Children, basata sulle testimonianze raccolte da 228 ex bambini detenuti (maschi per il 97%) da uno a 18 mesi nelle carceri israeliane, ha mostrato che il lancio di pietre è il crimine principale per cui i minori palestinesi vengono tratti in arresto, rischiando condanne fino a 20 anni.

Nel 65% dei casi, gli arresti vengono compiuti durante la notte, tra mezzanotte e l’alba, e il 42% dei minori riporta ferite da arma da fuoco o ossa rotte.

Alcuni minori hanno denunciato di aver subito abusi di natura sessuale, riferendo di essere stati toccati durante le perquisizioni.

Il 60% è stato trattenuto in isolamento per periodi fino a 48 giorni.

Circa il 70% ha riferito di essere stato privato di cibo, servizi di base e assistenza sanitaria.

Khalil, un ragazzino di tredici anni, ha denunciato di non aver ricevuto alcuna cura medica in seguito all’infortunio ad una gamba e di essere stato costretto a muoversi a gattoni, ha provato a chiedere aiuto ai soldati ma non gli sono state mai fornite delle stampelle per camminare.

Khalil ha inoltre dichiarato di aver ricevuto minacce di morte, Il soldato ha minacciato di uccidermi quando mi ha arrestato per la seconda volta. Mi ha chiesto: “Vuoi la stessa sorte di tuo cugino?”.

La testimonianza di Yousef raccolta da Defense for Children International

Il 10 gennaio 2024, Defense for Children International ha pubblicato la testimonianza di Yousef (nome di fantasia), un ragazzino di 17 anni che il 25 novembre 2023 è stato rilasciato dopo oltre 7 mesi di prigione.

Il giovane ha raccontato che il 30 marzo 2023 le forze d’occupazione israeliane hanno fatto irruzione nella sua abitazione arrestando il padre per costringerlo a consegnarsi.

Durante i lunghi mesi di detenzione amministrativa senza alcun capo d’accusa, le violenze e gli abusi si sarebbero inaspriti dopo il 7 ottobre, quando il regime carcerario è diventato sempre più duro con la confisca di tutti gli apparecchi elettronici, il divieto di uscire in cortile per 8 giorni e di fare la doccia.

Un episodio raccontato dal giovane Yousef risale al 30 ottobre 2023, dopo che un ragazzino detenuto diede fuoco alla bandiera israeliana che era stata apposta all’interno della sezione infantile del carcere di Megiddo, a nord di Israele, 50 soldati israeliani inflissero una punizione collettiva a tutti i bambini detenuti che vennero portati in cortile e picchiati per due ore.

Yousef ha dichiarato:

 “Circa 18 bambini sono stati picchiati duramente, e hanno urlato di dolore. Ho visto cani poliziotto attaccarli, sanguinare dalla bocca e dalla testa. Sono stati gettati in celle di isolamento fuori dalla sezione. Le guardie hanno fatto irruzione in tutte le stanze, prendendo a calci tutti fuori nel cortile, picchiandoli con bastoni. I bambini sono stati violentemente presi a calci, aggrediti verbalmente, legati dietro la schiena con manette di plastica, umiliati e trascinati nella zona delle docce.”

I soldati israeliani hanno anche aizzato contro Yousef e gli altri bambini dei cani senza museruola, “quando le guardie hanno raggiunto la mia cella, una di loro ci ha detto da fuori della stanza di andare fino al muro e inginocchiarci, ma noi abbiamo rifiutato, così ha aperto la porta e ha scatenato contro di noi un cane senza museruola. Ho provato a difendermi ma il cane mi ha morso e mi ha ferito”, ha dichiarato. Dopo la violenta aggressione tutti i ragazzini detenuti sono stati riportati nelle celle senza alcuna assistenza medica. 

La “normalità” dell’infanzia negata dei bambini palestinesi

Quella che in tanti in Occidente considerano l’unica democrazia del Medio Oriente ritiene normale processare un bambino in un tribunale militare, rinchiuderlo in una minuscola cella sovraffollata in condizioni igienico-sanitarie precarie, picchiarlo, spogliarlo, privarlo di cibo e acqua.

Essere prelevato dalla propria abitazione nel cuore della notte senza una ragione, solo per il fatto di essere nato palestinese, spogliato di ogni diritto e dignità, sottoposto ad umiliazioni, violenze fisiche e verbali, è la tragica normalità vissuta dalle donne e dagli uomini palestinesi.

Episodi di tale portata che sono già in sé traumatici per gli adulti, figuriamoci quali effetti possano avere su dei minori, strappati al tempo della gioia, della spensieratezza, dei giochi e dello studio, costretti a crescere troppo in fretta apprendendo gli aspetti più brutali del mondo degli adulti.

I loro piccoli occhi si assuefanno al dolore acre delle lacrime davanti all’orrore normalizzato di un mondo che dovrebbe proteggerli e invece li insidia. I bambini palestinesi maturano un’esperienza della disfatta e della perdita. Crescono nella ruvida consapevolezza di essere nati nel torto, esistere già in sé è una colpa, voler vivere anziché sopravvivere è una pretesa.

Nell’infanzia negata dei bambini palestinesi, sulla dolce e rasserenante morale delle favole “c’era una volta un mondo incantato dove i cattivi sono sconfitti e i buoni, i poveri, gli ultimi, vincono sempre” si impone l’aspra lezione di vita del “c’era una volta una realtà soffocata dall’oppressione e dalla discriminazione”, appresa fin dalla tenera età, vedendo i loro familiari inghiottiti dall’ingiustizia e dalla violenza, resi orfani da quel nemico invisibile, chiamato Israele, che imparano a temere ma da cui sognano di affrancarsi un giorno.

Nell’infanzia negata dei bambini palestinesi non si gioca alla guerra con armi giocattolo ma lanciando delle pietre contro i carri armati israeliani, immaginano di vendicare le barbare uccisioni del padre, dei fratelli o dei cugini.

Nell’infanzia negata dei bambini palestinesi, un minuscolo sassolino stretto da manine innocenti diventa il simbolo della resistenza a quel nemico invisibile che annienta i sogni tramutandoli in incubi.

I sogni dei bambini palestinesi non possono volare liberi ma si infrangono contro il turpe muro israeliano dell’apartheid.

Come scriveva Vittorio Arrigoni, Israele è un assassino di speranza prima ancora di civili innocenti.

 Jenny Favazzo

 

 

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