L’infanzia annullata dei bambini coinvolti nei conflitti armati

bambini coinvolti nei conflitti armati

I bambini coinvolti nei conflitti armati vivono un’infanzia segnata da orrori inimmaginabili. Questi giovani innocenti, anziché giocare con i loro coetanei e godere della sicurezza di un’infanzia spensierata, si trovano al centro di zone di guerra, costretti a brandire armi e a partecipare attivamente ai combattimenti. La loro infanzia è stata strappata via, sostituita da una realtà fatta di violenza, abusi e traumi indelebili. In questo contesto, è cruciale esaminare attentamente la situazione dei bambini coinvolti nei conflitti armati, affrontando l’urgente necessità di proteggerli e offrire loro un futuro migliore.

Decine di milizie e, in alcuni casi, anche eserciti governativi, si macchiano dell’atroce pratica dell’uso di bambini come soldati, relegando i sogni e l’innocenza dei più giovani al macabro teatro della guerra. Questo allarmante scenario emerge da un recente rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, intitolato “Les enfants dans le conflit armé,” il quale getta luce sulla drammatica situazione dei bambini coinvolti nei conflitti armati in tutto il mondo, con particolare riferimento ad alcuni paesi africani.

Il rapporto, che prende in esame dati riferiti al 2022, stima che ben otto mila minori siano stati costretti a diventare guerrieri in questa tragica epoca. Tra i paesi più colpiti spiccano la Repubblica Democratica del Congo (RDC), la Somalia, il Mali e la Siria. In Somalia, oltre mille bambini, alcuni persino di soli otto anni, sono stati arruolati, la maggior parte da Al Shabab, ma anche da forze dell’Esercito e della Polizia Nazionale in una quarantina di casi. L’utilizzo di bambini nelle guerre serve a terrorizzare le popolazioni nemiche, poiché i piccoli sono facilmente manipolabili e possono essere trasformati in macchine di morte. La fame è spesso un’arma potente, poiché chi possiede un fucile ha l’opportunità di nutrirsi. Circa quattromila bambini sono stati rapiti, spesso da gruppi di guerriglieri, dalle loro case, scuole o spazi pubblici, come accade in RDC e Somalia, per alimentare il ciclo interminabile di guerre che affligge molte parti del mondo, soprattutto in Africa.

Ma la crudeltà non si ferma qui: quasi novemila bambini sono stati uccisi o feriti nei conflitti, con paesi come l’Ucraina, Israele e lo Stato della Palestina, l’Afghanistan, la Siria e la Somalia tra i più colpiti. In molti conflitti, eserciti e milizie hanno commesso orrendi atti di violenza sessuale, con l’ONU che ha documentato circa mille e duecento casi, in particolare in RDC, Somalia, Sud Sudan, Repubblica Centro Africana e Nigeria. Le bambine sono spesso costrette a diventare “spose” o ad assolvere ruoli come cuoche, messaggere e perfino kamikaze, come avviene con Boko Haram in Nigeria, poiché riescono a eludere i controlli con maggiore facilità rispetto ai maschi.

Nel contesto di questa terribile lista di violazioni, è fondamentale considerare anche gli oltre duemila attacchi perpetrati contro scuole e ospedali, con particolare riferimento all’Ucraina, Burkina Faso, RDC, Israele, Palestina e Myanmar. Questi attacchi e il loro uso a scopi militari sono aumentati significativamente rispetto al 2021, privando migliaia di bambini dell’accesso ai diritti fondamentali e condannando i loro paesi a uno stato di sottosviluppo. Secondo il rapporto, i principali responsabili di omicidi e mutilazioni di bambini, degli attacchi contro scuole e ospedali e del blocco dell’accesso umanitario sono le forze armate e di sicurezza dei governi.

I dati, purtroppo, rappresentano solo la punta dell’iceberg, e il rapporto avverte che i numeri reali potrebbero essere molto più elevati. Dietro a queste fredde statistiche si celano vite distrutte, un’infanzia rubata e proiettata nell’abisso.

Nonostante l’importanza del rapporto e la chiara identificazione delle milizie e degli eserciti responsabili di queste atrocità, il mondo spesso rimane indifferente. L’Italia, ad esempio, fornisce aiuti militari alla Somalia, dilaniata dalla guerra da decenni e recentemente flagellata da Al Shabab. Il nostro paese è coinvolto in missioni militari in Somalia, tra cui EUTM Somalia, che addestra l’esercito di Mogadiscio sotto il comando di un generale italiano, e MIADIT Somalia, in cui i Carabinieri italiani formano i poliziotti somali. Tuttavia, l’Italia non ha legato il sostegno militare al rispetto dei diritti umani, autorizzando persino la proroga delle missioni con un voto quasi unanime in parlamento quest’estate. Questa incoerenza contraddice l’impegno a livello internazionale dell’Italia nella protezione dei diritti dei minori, come ad esempio la promozione di convenzioni internazionali che classificano le scuole e gli ospedali come luoghi sicuri anche durante i conflitti.

La mancanza di interesse per la protezione delle infrastrutture civili, come scuole e ospedali, è profondamente preoccupante“, ha commentato Virginia Gamba, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite. L’uso di armi esplosive, soprattutto in aree densamente popolate, è diventato una delle principali cause della distruzione di scuole e ospedali, oltre che della morte e delle lesioni inflitte ai bambini. Gli Stati membri hanno la responsabilità primaria di proteggere, rispettare e promuovere i diritti dei bambini, sia in tempo di pace che in tempo di guerra.

Il primo passo per affrontare questa tragica situazione dovrebbe essere la demobilizzazione di questi giovani innocenti. L’UNICEF ha svolto un ruolo cruciale nel disarmo di migliaia di bambini, offrendo loro la possibilità di un futuro diverso basato su istruzione e lavoro. Tuttavia, il cammino verso il recupero è impervio, a causa delle profonde cicatrici lasciate dalla guerra. Per le bambine, il percorso è ancor più difficile a causa della stigmatizzazione sociale e delle gravidanze indesiderate. Il reinserimento di questi giovani dovrebbe rappresentare l’obiettivo ultimo di un approccio globale basato sui diritti umani, mirato a porre fine al ciclo della violenza e a gettare le basi per una pace duratura per tutti. I paesi più sviluppati dovrebbero assumersi la responsabilità, poiché spesso i conflitti sono combattuti per procura, a causa del controllo delle risorse vitali per le nostre economie, e dovrebbero fermare la vendita di armi che solo moltiplica le sofferenze e le distruzioni.

Tuttavia, è inquietante notare che, mentre i finanziamenti per le spese militari non mancano, le risorse per lo sviluppo sociale ed economico sono sempre in affanno. Un esempio emblematico è l’Ucraina, dove l’Occidente ha speso decine di miliardi di dollari per il conflitto, ma ha risparmiato sulle misure che avrebbero potuto garantire sicurezza e benessere alle popolazioni.

Infine, è essenziale punire questi orrendi crimini, sfondando il muro dell’impunità. Il Tribunale Penale Internazionale, che considera l’arruolamento di minori di 15 anni un crimine contro l’umanità, ha condannato alcuni responsabili, ma c’è ancora molto da fare per portare giustizia alle vittime.

In ultima analisi, rimane il problema degli ex bambini sotto i 18 anni detenuti, effettivamente o presuntivamente, per il loro coinvolgimento con gruppi armati. Secondo il rapporto, si tratta di ben 2.500 persone, soprattutto in RDC e Somalia, che dovrebbero essere considerate e trattate come vittime, non come colpevoli. Dovrebbero essere rilasciate e sottoposte a programmi di reintegrazione nella società.

In un mondo che si professa civilizzato, è imperativo agire con determinazione per porre fine a questa tragica realtà e proteggere l’innocenza dei bambini, la risorsa più preziosa della nostra umanità.

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