L’incanto e la denuncia in “La Chimera” di Alice Rohrwacher

"La Chimera" di Alice Rohrwacher

Nel vibrante intreccio di miti antichi e modernità sfumate, “La chimera” di Alice Rohrwacher si dispiega come un’epopea intricata, un caleidoscopio di identità e aspirazioni. In questo viaggio cinematografico, il tempo si armonizza tra passato e presente, mentre i personaggi, come frammenti di un mosaico, si collocano tra le sfumature più oscure dell’animo umano e le leggende della mitologia.


In un mondo intriso di miti antichi e modernità indistinguibili, “La chimera” di Alice Rohrwacher si snoda come un racconto intricato, un collage di identità e aspirazioni. Il film non si limita a cogliere il significato di chimera come un sogno irraggiungibile, ma si intreccia con le molteplici sfaccettature della mitologia e dell’esistenza umana.

Josh O’Connor incarna Arthur, un essere dalle molte sfaccettature, un “straniero” in una terra che non è del tutto sua, un archeologo dai tratti ribelli, un individuo sospeso tra la vita e la morte. Il suo ritorno nella città sul Tirreno è un susseguirsi di ricordi e misteri, accompagnato dalla presenza enigmatica di Flora, interpretata da Isabella Rossellini, e la giovane Italia, Carol Duarte, il cui passato nascosto si cela dietro un’apparente calma.

Il film si apre negli anni ’80, immergendo lo spettatore in un treno intriso di fumo e stampe di disegni di Leonardo. Rohrwacher dipinge un quadro vivo ma intricato, con Arthur che rientra in una realtà in cui le sue abilità di “tombarolo” vengono richieste dalla banda. Tuttavia, c’è di più dietro questa storia: una madre in cerca di risposte, una casa in rovina abitata da una moltitudine di donne rosse di capelli, tutte in attesa di un’eredità.

La musica di Mozart, insegnata da Flora a Italia, diventa un riflesso delle anime taciturne di entrambi i protagonisti. Il film si tinge di suggestioni mitologiche, Arthur come un moderno Orfeo in cerca della sua Euridice, il tutto mentre il filo rosso della vita si intreccia nelle tombe e nei labirinti dell’esistenza.

Ma Rohrwacher non si limita a raccontare una storia. Il film stesso diviene una chimera, un’opera assemblata con tre diverse pellicole, un amalgama di espressioni e simboli. Il suo montaggio è come una formula del cantastorie, che accompagna il film al di là dello schermo, dalle affiche mistiche al richiamo alle prospettive multiple, tutto su un sottofondo di Battiato che invoca un cambio di prospettiva esistenziale.

Tuttavia, dietro la narrazione incantevole emerge una denuncia sottile ma incisiva. Rohrwacher svela il mondo nascosto dei tombaroli moderni, non eroi ma individui mossi dall’interesse personale, scavando nel sottosuolo per soddisfare il mercato, in contrasto con la legge e l’etica. L’arte diventa merce, le tombe diventano tesori di tutti e di nessuno, mentre il film stesso sembra scavare tra le eredità cinematografiche, ricomponendo pezzi di maestri passati.

Il finale, con Arthur tra i resti di un cantiere moderno, sembra simboleggiare la ricerca di un destino nei segni arcani degli uccelli nel cielo, una visione che evoca sia il passato etrusco che la contemporaneità irrimediabile.

“La Chimera” di Alice Rohrwacher è un viaggio nella psiche umana, un intricato labirinto di miti, desideri e contraddizioni. È un’opera che denuncia, incanta e invita a riflettere, una testimonianza dell’anima umana nella sua complessità e diversità.

La magia di Rohrwacher sta nel creare un film che, come la mitica creatura stessa, è in grado di sorprendere, incantare e lasciare un’impronta indelebile nella memoria dello spettatore.

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