Da Federico II ad Harvard: come le relazioni umane influenzano la nostra vita
L’importanza dei legami sociali, delle relazioni, delle vicinanze, in questi tempi di assembramenti vietati e quarantene, è stata spesso tirata in ballo. Ognuno di noi sa che sotto sotto, ciò che ci rende umani e ciò che detta la nostra natura è il tessere relazioni, essere parte di un gruppo o di una rete.
Chissà se qualcuno ricorderà quel “Let’s bridge!” del 2012, quando l’UNESCO ha deciso di patrocinare la Genfest “Giovani per un Mondo Unito”, sta tutto lì nel creare ponti e tessere rapporti.
Cosa pensereste se vi dicessi che c’è un fondamento scientifico in questa importanza data ai legami? Cosa pensereste se vi dicessi che un amico (o più) può davvero salvarvi la vita o che un matrimonio tossico è peggio di un divorzio?
Sappiamo che il nostro corpo è una macchina perfetta, tutto ciò che avviene e quello che proviamo è determinato da un preciso scambio chimico di ormoni e elementi che viaggiano dal nostro cervello allo stomaco e ci fanno venire la gastrite o le farfalle. Dall’ansia allo stress al raffreddore al nanismo. Tutto definito da una scienza esatta basata su azioni e reazioni, più fredde che mai, molto meno romantico di quello che possiamo pensare.
Federico II endocrinologo ante litteram
Conosciamo tutti Federico II di Svevia, Re di Sicilia, mecenate della scuola poetica siciliana, falconiere e poeta. Re a soli 3 anni, imperatore del Sacro Romano Impero a 24, aveva una passione indomita per l’essere umano. Non a caso fu lui il primo (o uno dei primi) a permettere esperimenti sui cadaveri, per scoprire e studiare la natura delle malattie che affliggevano l’uomo e conoscere dall’interno la materia di cui siamo fatti.
Uno dei suoi esperimenti meno umani, fu quello condotto sui bambini appena nati. C’è chi dice due gemelli, chi un gruppo di neonati, sta di fatto che l’imperatore decise di crescere questi bambini lontano da qualsiasi influenza adulta e non. Veniva dato loro da mangiare, vestiti e coperte, curata la loro igiene e niente più. L’esperimento, estremamente duro, serviva per capire una volta per tutte quale fosse il linguaggio innato degli uomini. Questa domanda attanagliava già egiziani, frigi e fenici, e arrivò fino alla Corte di Federico II dove si patteggiava tra il greco, il latino e l’ebraico. L’esperimento mostrò non solo che nessuna di queste lingue fosse innata nei bambini, ma che nessun tipo di linguaggio lo fosse. I bambini, in mancanza di contatto, senza nessuna relazione né condivisione avevano perso ogni stimolo alla vita. Non sapevano parlare, avevano difficoltà motorie e in generale un’attitudine molto apatica. Nessuno di loro sopravvisse.
Simile esperimento fu condotto negli anni ’40 dallo psicanalista Renè Spitz, che per primo studiò su bambini abbandonati in orfanotrofio seguendo il metodo scientifico sperimentale. Il ricercatore osservò 91 bambini sin dalla nascita in orfanotrofio, nutriti regolarmente ma con scarsi contatti interpersonali. Qualche carezza per i primi della grande camerata in cui dormivano, ma per gli ultimi non si andava oltre le minime interazioni necessarie al nutrimento e all’igiene.
Dopo poco, i bimbi cui venivano negate le attenzioni svilupparono una grave apatia, inespressività del volto, ritardo motorio e deterioramento della coordinazione oculare. Spitz paragonò il loro stato al letargo, anche loro come i bimbi di Federico II morirono. Chi riuscì a sopravvivere non fu in grado di parlare o di camminare, spesso non sapevano nemmeno rimanere autonomamente seduti.
L’aspetto più interessante è che i bambini avevano i segni del marasma, ovvero carenza proteica tipica del denutrimento. Fame sì, ma di socialità.
Harvard Study of Adult Development
Il fatto che l’uomo sia un animale sociale (e socievole) abbiamo capito che interessa parecchio. Dopo Siptz furono numerosissimi gli esperimenti e gli studi, anche meno atroci, condotti in questa direzione.
Il Dr. Robert Waldinger, direttore dell’esperimento Harvard Study of Adult Development, in una TedTalk del 2016 ha efficacemente spiegato il primo ciclo di uno dei più longevi (per non dire il più longevo) esperimenti condotti sugli esseri umani e sulle loro condizioni di felicità.
Questo studio ha seguito e segue le vite di circa 724 uomini per più o meno 80 anni, e adesso con lo studio della Seconda Generazione, ha rivolto l’attenzione ai loro “Baby Boomer children” per capire come la loro fanciullezza influirà sulla loro mezza età.
A partire dal 1938, è stato chiesto anno dopo anno agli uomini come stessero: dettagli del loro lavoro, della loro vita, resoconti di come vivessero le loro giornate, tramite schematici questionari e chiacchierate da salotto. La provenienza dei soggetti era da una parte le matricole di Harvard, i quali una volta laureati andarono in guerra, dall’altra i quartieri disagiati di Boston, in cui i ragazzi vivevano in condizioni precarie talvolta anche con difficili situazioni familiari. Il corso delle loro vite ha preso pieghe differenti e non sempre banali: alcuni sono diventati medici, avvocati, muratori, Presidente degli Stati Uniti d’America.
Ovviamente, durante tutto lo studio sono stati fatti e vengono fatti controlli clinici anche approfonditi, perizie psicologiche, si parla con i figli, gli amici, i parenti, si costruisce un quadro completo della persona.
Quello che è venuto fuori, ancora una volta, è che le persone con una condizione di vita più felice e più in salute sono quelle che spendono molto tempo a coltivare i rapporti umani. Che siano mille amici o due o la compagna, i figli, i genitori, i soggetti che intessevano profonde e durature relazioni presentavano gli indici di salute e successo, inteso come benessere, più alti.
Coincidenze?
Non di solo pane vive l’uomo
Troppo spesso alla domanda “qual è il segreto per la felicità?” rispondiamo “i soldi”, “la fortuna”, “la fama”, “la salute”. Tutte cose importanti, certo, ma non determinanti da sole e per se stesse.
“La vita è così breve che non c’è tempo per litigi, per il rancore e per la guerra. C’è solamente il tempo per amare e dura solamente un istante.”
Dal Regno delle Due Sicilie fino ad Harvard e alla pandemia da Covid-19, abbiamo capito che il vero segreto per essere felici è assecondare la nostra natura di animale socievole, fatto per gli assembramenti, gli abbracci, le confidenze, le chiacchiere, le feste, le passeggiate e talvolta anche i silenzi purché condivisi.