L’impatto dei “big data” sul corporate reporting

L’aumento del volume dei dati impatta sempre di più sulla capacità dei CFO di realizzare report rapidi e affidabili per i board delle loro società. Lo rivela il nuovo report di EY Financial Accounting and Advisory Services (FAAS), da cui emerge che il 66% degli intervistati a livello globale ritiene che l’incremento nei volumi e nella frequenza dei big data stia avendo un impatto significativo sull’efficacia stessa del corporate reporting (nel 2015 era il 57%).

Altro fattore rilevante risulta essere la complessità del contesto regolatorio, che secondo il 68% degli intervistati ha un impatto significativo sull’efficacia del corporate reporting (57% nel 2015). Come può l’attività di reporting mantenere il passo di un mondo che accelera? La ricerca annuale realizzata a livello globale da EY su 1.000 fra CFO e head of reporting di grandi società (con fatturato superiore a US$500m) in 25 Paesi, rivela che gli intervistati in America, Asia -Pacifico e Medio Oriente ritengono i cambiamenti tecnologici la sfida numero uno per il reporting. Gestire sistemi basati sul cloud, data analytics, RPA (robotic process automation) e intelligenza artificiale è anche la preoccupazione più grande per il 35% degli intervistati nei mercati emergenti e la seconda nella lista dei CFO europei.

Secondo Massimo delli Paoli, Financial Accounting Advisory Services leader di EY in Italia Spagna e Portogallo, “I CFO di tutto il mondo hanno difficoltà a sfruttare al massimo l’aumento del volume, della disponibilità della velocità dei dati a loro disposizione, il che ha una inevitabile ricaduta negativa sul divario fra aspettative di ciò che richiede il board al reporting aziendale e quello che i CFO sono in grado di fornire. In Italia, come nel resto del mondo, si sta verificando un incremento delle complessità interne alle imprese, legate sia alle strutture organizzative interne che a fattori esogeni legati invece ai cambiamenti del contesto regolatorio ed alla rapidità con cui nascono nuovi mercati e ne scompaiono altri da tempo consolidati. In tema di velocità, anche i cambiamenti nella tecnologia hanno un loro impatto sull’efficacia e la velocità dei processi di reporting. La nostra analisi mette in evidenza come i CFO siano consapevoli delle difficoltà legate ai sistemi esistenti ed in particolare alla carenza di integrazione fra gli stessi, ed allo stesso tempo pensino che sia necessario che il reporting nasca a valle delle analisi dei Big Data e dei Data Analytics. Nel breve termine il reporting presenterà caratteristiche di maggiore competitività rispetto alle richieste di informazioni interne ed esterne; non a caso, il 70% degli intervistati in Italia ritiene che nei prossimi 2 anni dovrà investire di più di quanto non fatto in precedenza nella tecnologia connessa al corporate reporting. In futuro occorrerà agire sicuramente su più leve, e fra queste bisogna considerare l’introduzione di strumenti che consentano di basare il reporting su sofisticate analisi di un enorme quantità di dati e di nuovi algoritmi di calcolo anche predittivi. Dovrà essere considerato anche il cambiamento del modello operativo del reporting, finalizzato a focalizzare un minor numero di risorse interne ma dedicate ad attività a maggior valore, e delegare alle macchine o a centri di eccellenza esterni la parte di analisi che oggi è fatta manualmente con elevato dispendio di tempo”.

Il 50% dei leader del finance a livello mondiale, ritiene che i sistemi IT legacy siano di ostacolo per il cambiamento del modello operativo di reporting, in ragione della complessità e dei costi necessari per fronteggiare il cambiamento dell’attuale ambiente tecnologico in cui le aziende operano.

In Italia, il 47% dei CFO italiani considera la mancanza di integrazione tra sistemi la prima sfida tecnologica globale da affrontare, mentre il 43% ritiene una priorità aggiornare gli strumenti analitici IT e finanziari. Minore è l’incidenza dei CFO che indicano come critiche le capacità globali necessarie per migliorare l’attività di reporting quelle relative alle infrastrutture IT (13% contro il 36% a livello Global), mentre il 20% pensa che siano i data analytics (33% a livello Global). Per il 55% dei CFO intervistati è essenziale trasformare il proprio modello operativo di reporting (56% a livello Global).

Quasi un terzo (32%) di CFO coinvolti nella survey considera il proprio modello operativo di reporting “nella media”, non stupisce che il 56% affermi che trasformare il modello di reporting adeguandolo alle nuove tecnologie sia un obiettivo importante per chi ricopre il loro ruolo. Nei prossimi due anni, il 54% si aspetta di vedere un significativo incremento dell’uso dell’outsourcing, seguito da managed services provider (51%) e di società del gruppo che fungono da shared services centers – onshore or near-shore (50%). Le società di shared services centers – offshore ed i centri di eccellenza centralizzati, sono al 48% e 46% rispettivamente.

I tre miglioramenti più importanti che i CFO sperano di raggiungere nel loro modello di reporting sono: aumento dell’accuratezza e dell’efficacia del reporting (30%); migliore utilizzo di data analysis per guidare una visione strategica di lungo periodo (29%); più agilità e flessibilità nella funzione di reporting (28%).

Il 42% degli intervistati è preoccupato di trovare il giusto equilibrio tra controllo centrale e necessità di adeguare il reporting alle esigenze locali. Oggi il principio organizzativo dominante per il reporting aziendale è quello in cui tutto è controllato dalla sede centrale: lo sostiene il 33% degli intervistati a livello globale, il 35% in Italia. In Italia, in linea con le risposte date a livello global, il 20% ritiene che il modello dovrebbe essere completamente centralizzato, mentre il 33% ritiene che dovrebbe essere più legato alle esigenze locali (29% per gli intervistati global). I CFO probabilmente si sposteranno verso un modello che mantiene il controllo nella sede centrale ma con responsabilità significative assegnate ai singoli mercati locali. Il 29% degli intervistati vede questo come il modello futuro, e solo il 24% lo utilizza attualmente.

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