Da quando la Corea del Nord si è avvicinata alla padronanza della tecnologia dei missili balistici si sa gli Stati Uniti, una potenza nucleare di vecchia data, sono scontenti. Nel corso di questi mesi, dopo loro prima riunione avvenuta sull’isola di Sentosa, a Singapore, Trump sosteneva che tutto “filasse liscio” e che le ambizioni nucleari della Corea del Nord non influenzassero gli Stati Uniti.
Sfortunatamente, la realtà non si è completamente adattata alle rosee aspettative del Presidente americano. La comunità di intelligence degli Stati Uniti ha ripetutamente avvertito che la Corea del Nord è ancora una minaccia per gli Stati Uniti e non ha intenzione di rinunciare al suo arsenale nucleare.
Non c’è accordo fra Trump e Kim sul nucleare. Ne è testimone il mancato accordo fra Stati Uniti e Corea del Nord, durante il loro secondo incontro al summit di Hanoi. Donald Trump e Kim Jong-un parlano di denuclearizzazione e di pace ma intendono cose diverse.
Le minacce bellicose, di entrambe le parti, fanno riemergere i ricordi delle paure della guerra fredda. Ovviamente nulla di buono accadrebbe a chiunque fosse direttamente sul sentiero di un’esplosione nucleare. Ma per quanto riguarda gli altri?
A questa domanda hanno risposto – tempo fa – dei ricercatori della Rutgers University in New Jersey e della Colorado University. Il climatologo Alan Robock e il ricercatore e professore di scienze atmosferiche e oceaniche, Owen Brian Toon.
I ricercatori hanno rivolto la loro attenzione per discutere di ciò che è potenzialmente la conseguenza più devastante della guerra nucleare, su scala ridotta, definito: l’inverno nucleare.
Nello specifico, hanno esaminato i possibili esiti di una guerra limitata tra i rivali nucleari India e Pakistan. A quel tempo, Pakistan e India erano in conflitto sul Kashmir e si minacciavano a vicenda con armi nucleari.
Tale evento potrebbe produrre così tanto fumo che produrrebbe cambiamenti ambientali globali senza precedenti nella storia umana registrata. Il loro modello presume che le aree urbane sarebbero mirate e circa 100 armi schierate.
Toon e Robock hanno studiato e modellato l’inverno nucleare avanti e indietro per oltre 30 anni, e hanno unito le forze dieci anni fa per utilizzare modelli climatici più recenti per esaminare gli effetti climatici di una piccola guerra nucleare.
Inverno nucleare
Nel 2008 Brian Toon e Alan Robock riprendendo gli studi degli anni ‘80 sull’«inverno nucleare» che sarebbe stato provocato da una guerra atomica tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Non solo appoggiarono la mozione degli studi nominati, la considerarono anche “minimizzata”. Questi scienziati utilizzarono il modello climatico basato sulle eruzioni vulcaniche più importanti del passato.
Inverno nucleare è il termine per una teoria che descrive gli effetti climatici della guerra nucleare. Le prospettive? Povere. Secondo la loro ricerca, il fumo degli incendi provocati dalle armi nucleari, in particolare il fumo nero e fuligginoso delle città e delle strutture industriali, sarebbe riscaldato dal sole. Soppalcato nella stratosfera superiore e diffuso globalmente, per anni. Oltre ad abbassare le temperature globali di più di un grado Celsius (per confronto, l’ultimo massimo glaciale era solo 5 gradi più freddo ).
Le condizioni fredde, scure e asciutte risultanti sulla superficie terrestre impedirebbero la crescita del raccolto per almeno una stagione, causando la fame di massa in gran parte del mondo. Ciò che i ricercatori chiamano “carestia nucleare.
Un declino della produzione globale avrebbe probabilmente conseguenze nefaste per gli importatori di cibo, anche per le nazioni industrialmente più ricche. I modelli prevedono che persino una Cina potente potrebbe affrontare una carestia diffusa da una guerra regionale limitata. È meno chiaro se gli effetti sarebbero tanto più gravi quanto più lontano, ad esempio, nel Nord America.
Inoltre, ci sarebbe un massiccio esaurimento dell’ozono, consentendo una maggiore radiazione ultravioletta. Gli effetti indiretti colpirebbe maggiormente i paesi non coinvolti negli scontri, con un tasso di mortalità più alto. Gli studi indicano che gli effetti negativi potrebbero persistere per anni.
Impatti duraturi sugli ecosistemi
Negli anni ’80, i ricercatori Herbert D. Grover e Mark A. Harwell hanno esaminato quali potrebbero essere gli impatti duraturi sugli ecosistemi . Dati provenienti da siti di test nucleari hanno dimostrato che le radiazioni possono rimanere nel suolo, nelle piante e nelle catene alimentari. I bambini delle Isole Marshall hanno avuto problemi alla tiroide molto tempo dopo i test nucleari. Le catene alimentari marine sono particolarmente vulnerabili sia alle radiazioni che agli effetti dirompenti della fuliggine atmosferica.
Cosa succederebbe in un conflitto nucleare tra Stati Uniti e Corea del Nord? Molto dipenderebbe dai dettagli, ma gli effetti peggiori si sentirebbero nella penisola coreana e nelle aree circostanti. Quest’area verrebbe probabilmente colpita da più armi rispetto al continente americano, e i modelli suggeriscono che gli impatti regionali sono più alti.
Nessun modello ha preso in considerazione il cambiamento climatico globale; un certo raffreddamento può essere compensato dall’aumento delle temperature. Sul lato positivo, gli ecosistemi possono recuperare. Ma potrebbero non essere utilizzabili dagli umani per un tempo molto lungo.
L’incubo della guerra nucleare è stato il focus culturale di intere generazioni, durante la Guerra Fredda. Ma spesso la realtà ha superato la fantasia, arrivando davvero a un soffio dall’Olocausto, nonostante, nel 1976, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Convenzione internazionale. (Risoluzione 31/72 del 10 dicembre 1976). Che ha vietato l’uso militare di tecniche di modifica dell’ambiente che hanno effetti diffusi, duraturi e gravi nel tempo.
Essa è nota come Convenzione ENMOD. (Convention on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques). E’ stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978. L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge n. 962 del 29 novembre 1980.