Limiti etici alla ricerca: il dibattito tra comunità scientifica e istituzioni

limiti etici alla ricerca

Il timore dell’oscurantismo rende l’imposizione di limiti etici alla ricerca scientifica estremamente difficile, ma non per questo meno necessaria.

Inscindibilmente legata alla natura umana di cui è espressione, la scienza è soggetta alle limitazioni intrinseche proprie della condizione umana. Se è vero che la scienza gode di un potenziale incommensurabile, è altrettanto innegabile che essa non sia immune dall’errore umano né dall’utilizzo improprio dei risultati ottenuti. Una volta scoperchiato il “vaso di Pandora”, infatti, non è più possibile tornare indietro. Nessuno potrà impedire che le scoperte effettuate, magari anche per nobili fini, vengano usate per scopi totalmente diversi. A tutela dell’intera umanità, è dunque indispensabile regolamentare l’enorme potere detenuto dalla scienza, attraverso l’imposizione di limiti etici alla ricerca scientifica.

Ho speso tutta la mia vita per la libertà della scienza e non posso accettare che vengano messi dei chiavistelli al cervello: l’ingegno e la libertà di ricerca è quello che distingue l’Homo Sapiens da tutte le altre specie.

Rita Levi Montalcini

Figli di un passato in cui la scienza e i suoi fautori sono stati troppo spesso annientati e/o asserviti al potere – laico o religioso che fosse – il timore di ricadere nell’oscurantismo è più che comprensibile. Eppure, proprio per garantire la libertà altrui, nessuna libertà individuale può essere illimitata e questo riguarda anche la libertà di ricerca. Come ricorda la filosofa spagnola María Zambrano, “fino a oggi, nelle culture che conosciamo, non c’è mai stata un’epoca in cui il sapere fosse sufficiente, in cui il cerchio di luce dove si muoveva il pensiero coincidesse con la realtà.” L’ingegno dell’uomo, giustamente, non può e non deve accontentarsi. Forse, però, esiste una via di mezzo tra Inquisizione romana e totale libertà della scienza.

Il “golem” della scienza

Rita Levi Montalcini affermava che la scienza non dovesse essere controllata, né proibita. Sosteneva, anzi, che gli scienziati dovessero essere coinvolti nelle decisioni politiche invece di rimanere vittime di movimenti oscurantisti. Pur schierandosi a favore della libertà accademica e del concetto di “scienza aperta“, tuttavia, l’Unesco ha spesso espresso perplessità riguardo alla totale libertà della scienza. Nelle Raccomandazioni sulla scienza e i ricercatori scientifici del 2017, l’Unesco si sofferma infatti sulla dualità e ambivalenza della scienza. Sebbene scoperte scientifiche e sviluppi e applicazioni tecnologiche a queste correlate offrano vaste prospettive di progresso, infatti, essi possono allo stesso tempo anche comportare una vera e propria minaccia. I rischi sono enormi, soprattutto nei casi in cui i risultati della ricerca scientifica vengano usati per fini contrari al benessere dell’umanità o a scapito dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della dignità della persona umana.

La personalità della scienza non è né quella di un nobile cavaliere, né quella di un crudele titano. […] La scienza è un golem.

Collins e Pinch, Il golem. Tutto quello che dovremmo sapere sulla scienza

Già nel 1996, la rivista scientifica The Monist sosteneva che non fosse più possibile credere che questi timori provenissero esclusivamente da critici estranei all’attività scientifica o addirittura contrari a essa. Timori che in effetti sono legati a problemi profondi inerenti alla ricerca e applicazione della conoscenza scientifica. Proprio a causa della fallibilità umana, sono stati spesso gli scienziati stessi a rendersi conto della necessità di porre dei limiti etici alla ricerca. Ricerca che rimane perennemente in bilico tra progresso e minaccia per l’umanità.





Deontologia della ricerca

Pur accettando l’inevitabilità dell’imposizione di limiti etici alla ricerca, tuttavia, qualsiasi regolamentazione in ambito scientifico risulta quantomeno di difficile applicazione. A causa dell’enorme diversità di leggi, regolamenti e usanze da stato a stato e in assenza di un ente governativo sovranazionale, infatti, l’Unesco può solo proporre delle “raccomandazioni”. Sono poi i singoli paesi a dover scegliere se e come implementare una regolamentazione all’attività di ricerca scientifica.

In assenza di vere e proprie leggi sovranazionali in questo ambito, bisogna dunque ricorrere alla deontologia professionale di chi esercita il ruolo di ricercatore scientifico. A questo proposito, nel 1942, il sociologo statunitense Robert Merton individuò i quattro principi, detti anche “norme mertoniane”, che dovrebbero guidare la ricerca scientifica: comunismo, universalimo, non-interesse, e scetticismo organizzato. Questi principi fanno riferimento rispettivamente ai seguenti ideali:

La scienza non può più permettersi di essere in diniego di questioni che molti di noi hanno cercato di portare al centro dell’attenzione.

John Ziman

John Ziman, tuttavia, in un suo contributo per la rivista Science proponeva un’ulteriore riflessione sul principio di non-interesse introdotto da Merton. La pretesa di oggettività della scienza è infatti solo illusoria in quanto le questioni etiche sollevate dalla ricerca coinvolgono sempre gli interessi umani. L’etica non è solo una disciplina astratta, bensì riguarda i conflitti che nascono dal tentativo di conciliare i reali bisogni dell’uomo con i valori umani. Eppure, secondo Ziman, la scienza accademica ignora sistematicamente qualsiasi considerazione di tipo etico pur di garantirsi il diritto di inseguire la conoscenza per amore della conoscenza stessa.

Da una grande mente derivano grandi responsabilità

Nessuno, scienziato o no, dovrebbe mai essere oppresso per le proprie idee. Chiunque sia dotato di mezzi pratici e intellettivi per portare avanti una ricerca scientifica dovrebbe però intraprenderla con senso di responsabilità nei confronti dell’umanità intera. Da una grande mente in grado di fare scoperte scientifiche e svilupparne le applicazioni non possiamo che aspettarci infatti anche una grande consapevolezza dei possibili risvolti del suo lavoro.

Di tale responsabilità devono farsi prioritariamente carico proprio i depositari della libertà, e cioè i ricercatori, che, se è necessario, devono rinunciare ai loro programmi, rinviarli, o circondarli di tutte le opportune cautele.

Guido Sirianni

La conoscenza per amor di conoscenza è la forza motrice che guida l’uomo nel suo percorso di costante evoluzione. Eppure, ritengo che la comunità scientifica dovrebbe astenersi dall’indulgere all’umana tentazione di portare avanti ricerche per meri scopi speculativi. Lo scienziato, infatti, non può non essere consapevole delle possibili conseguenze dei risultati raggiunti e dei potenziali rischi a essi legati. Forse, quindi, per il bene dell’umanità e almeno nei casi in cui i rischi sorpassano di gran lunga i benefici, la scienza dovrebbe semplicemente imparare a rinunciare alle proprie ambizioni. In questa ottica, il principio di responsabilità di cui parla Guido Sirianni non andrebbe inteso come contrapposto alla libertà della ricerca, bensì come umanizzazione della stessa.

Cristina Resmini

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