Liliana Segre denuncia Cecilia Parodi per “odio razziale”

Liliana Segre

Liliana Segre ha denunciato la scrittrice e attivista Cecilia Parodi per diffamazione aggravata e propaganda e istigazione a delinquere. La Procura di Milano ha aperto un’indagine sulla Parodi, nota per le sue posizioni pro-Palestina. Al centro delle accuse vi sono delle affermazioni ritenute antisemite rivolte contro la senatrice a vita Segre.

La vicenda è scaturita da un post pubblicato da Parodi sul proprio profilo Instagram, seguito da un video in cui l’attivista ha ribadito le sue posizioni in maniera ancor più esplicita. Questi contenuti, secondo quanto riportato nella denuncia, conterrebbero gravi accuse e insulti che oltrepassano il limite della critica politica per sfociare in veri e propri attacchi di natura razzista. Le parole di Parodi hanno suscitato immediate reazioni da parte della comunità ebraica e non solo, con numerose persone e organizzazioni che hanno espresso solidarietà a Liliana Segre, condannando fermamente quanto accaduto.

Liliana Segre, nota per il suo instancabile impegno nel testimoniare gli orrori della Shoah e per la promozione della memoria storica, ha deciso di reagire alle dichiarazioni di Parodi tramite vie legali. Assistita dai propri avvocati, la senatrice ha presentato una querela formale contro l’attivista, denunciando il carattere diffamatorio e incitante all’odio razziale dei messaggi pubblicati su Instagram.

Il pubblico ministero Leonardo Lesti, assegnato alla sezione distrettuale antiterrorismo della Procura di Milano, ha preso in carico il caso, delegando alla polizia giudiziaria il compito di notificare a Parodi il verbale di elezione di domicilio, un atto che formalizza l’inizio dell’inchiesta e conferma che l’attivista è ora ufficialmente indagata per i reati contestati.



L’indagine su Cecilia Parodi non si limita solo alla verifica delle affermazioni pubblicate su Instagram, ma include altri contenuti diffusi attraverso i social media e i suoi interventi pubblici. Questo perché le autorità sospettano che le dichiarazioni antisemite possano non essere episodi isolati, ma parte di una più ampia campagna di incitamento all’odio.

Libertà di espressione o odio razziale?

La comunità ebraica ha ribadito la propria vicinanza a Liliana Segre, esprimendo preoccupazione per il clima di odio che sembra crescere in maniera preoccupante. Diverse organizzazioni, sia in Italia che a livello internazionale, hanno preso posizione contro gli attacchi a Segre, chiedendo alle autorità di agire con decisione per contrastare l’antisemitismo e proteggere coloro che ne sono bersaglio.

La vicenda, ancora in corso, sarà seguita con attenzione non solo dagli addetti ai lavori, ma anche dall’opinione pubblica, consapevole che il caso di Cecilia Parodi rappresenta un banco di prova per la tenuta dei valori democratici e dei principi di convivenza civile. L’esito dell’indagine e gli eventuali sviluppi giudiziari avranno infatti implicazioni significative, non solo per le persone direttamente coinvolte, ma anche per il più ampio contesto sociale e politico.

Parodi, dal canto suo, sostiene di avere esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione e di critica politica, in particolare nei confronti delle politiche dello Stato di Israele. Tuttavia, l’indagine della Procura si concentra sul confine, spesso sottile, tra la legittima critica politica e l’odio razziale e parte dalla premesse che, sebbene la libertà di espressione sia un diritto fondamentale, non può essere utilizzata come scudo per giustificare affermazioni che incitano alla violenza o alla discriminazione contro una specifica comunità.

L’inchiesta aperta dalla Procura di Milano su Cecilia Parodi, dietro denuncia della senatrice Segre, pone l’accento sul confine tra odio razziale, libertà di espressione e critica politica. Ma induce anche ad interrogarsi sull’opportunità della sede e della modalità dove e attraverso la quale tale confine viene stabilito: non in una discussione pubblica, non in un dibattito politico, ma nell’aula di un tribunale (se le indagini porteranno a un processo). Diventa allora necessario per un Paese che vuol dirsi democratico definire, prima di ogni altro confine, uno ancora più importante: quello tra politica e magistratura.

Vincenzo Ciervo

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