Si tende, spesso, a sottovalutare l’impatto esercitato dall’interiorità sulla vita dell’individuo. Si esalta la scienza, com’è giusto che sia, dimenticandosi, però, della coscienza. Lungo il percorso, ora si perdono, ora si ignorano emozioni. Si tende a tralasciare il ruolo che queste rivestono nello sviluppo della persona, nella sua vita professionale e nel sociale. Il primo passo per un futuro migliore è stato, però, compiuto: lo scorso novembre, il Senato ha approvato l’introduzione – sostenuta da una legge – delle life skills nei programmi scolastici. Andremo incontro al cambiamento? Come direbbe Jimmy Fontana, chi vivrà, vedrà. Per ora, il dado è tratto.
Life skills tra i banchi di scuola
Lo scorso novembre, il Senato, a seguito del via libera della Camera, ha approvato la legge sull’insegnamento delle competenze non cognitive in ambito scolastico. Intento della legge è quello di formare esseri umani più consapevoli – consapevoli di sé, delle proprie esigenze e delle proprie scelte – nonché in grado di accogliere e di affrontare le sfide che, quotidianamente, la società gli pone innanzi.
La norma – destinata alle scuole secondarie di primo e di secondo grado – prevede, al momento, una sperimentazione triennale delle attività. Il primo anno sarà dedicato alla formazione degli insegnanti, affinché questi possano farsi fautori della costruzione d’identità – intima e professionale – dei propri studenti, inducendoli a deporre tutte le maschere. Nel corso dei due anni successivi, si assisterà, invece, all’inserimento delle life skills nei programmi scolastici.
Si valuterà l’attuazione della sperimentazione anche in ambito universitario, con particolare riferimento al primo anno di studi. Imparare a gestire le proprie emozioni risulta, infatti, indispensabile non solo in vista del futuro lavorativo, bensì anche in virtù del percorso di studi che si è deciso di intraprendere – se si è deciso di intraprenderlo – al termine delle scuole superiori. Reggere il peso delle aspettative – specie quelle sociali – è dura, e molte volte ci si lascia sopraffare dalle emozioni. Critiche e giudizi – quando distruttivi – rendono spesso inermi. Con gli strumenti giusti, si potrebbe far fronte – tutelandosi – alla pressione sociale.
Per un uomo sciente e cosciente: una formazione a trecentosessanta gradi
La scuola, poiché luogo privilegiato di formazione dell’individuo, dovrebbe fornire ai bambini e ai ragazzi una formazione a trecentosessanta gradi. Formatore non è, necessariamente, colui che impartisce nozioni ascrivibili a tutte le discipline dello scibile; formatore è colui che, alla crescita professionale del proprio allievo, affianca la crescita umana. Una formazione a trecentosessanta gradi è, pertanto, una formazione che ingloba hard skills, competenze propriamente tecniche, soft skills, competenze trasversali, legate alla sfera dell’intelligenza emotiva, e life skills, competenze del savoir-vivre.
La scuola – da quando sorsero, nel 3500 a.C., le edubba dei sumeri – si è sempre fatta veicolo di nozioni e di precetti. Obiettivo cui ogni sistema scolastico mirava era quello di plasmare uomini a propria immagine e somiglianza, uomini che fossero specchi di competenza e scrigni di conoscenza. Acquisite le competenze necessarie, il giovane si sarebbe addentrato, con successo, nel mondo del lavoro.
Vero è che, al fine del raggiungimento dei propri sogni, non si può – in alcun modo – prescindere dalla conoscenza – merce rara, sacra e insostituibile – ma è altrettanto vero che, per essere applicata con successo nel reale, la conoscenza necessita di essere sorretta da una buona dose individuale di consapevolezza.
Le prestazioni – tanto in ambito scolastico, quanto in ambito lavorativo – sono fortemente influenzate dal turbinio di emozioni che, nell’animo umano, imperversa. Introdurre competenze non cognitive a scuola – quali, anzitutto, la gestione delle emozioni e la gestione dello stress – giocherebbe un ruolo cardine nel rendere l’individuo più consapevole di sé. Conscio dei propri punti di forza e, anche e soprattutto, dei propri limiti, egli sarebbe in grado di adottare, in determinate circostanze, strategie utili al raggiungimento dei propri obiettivi. Se adeguatamente motivato dal formatore, lo studente potrebbe anche tuffarsi nell’impresa del superamento dei propri limiti.
Entrare in contatto, durante gli anni della scuola, con le proprie emozioni e fare esperienza di situazioni “scomode” aiuta l’adolescente o il pre-adolescente a maturare una solida coscienza di sé e del mondo in cui vive, preparandolo alle sfide imposte dalla società.
Al di là del personale, in virtù del sociale
Imparare a gestire le proprie emozioni favorisce anzitutto il benessere personale e, in secondo luogo, contribuisce alla creazione di un ambiente – domestico, scolastico e lavorativo – sano e solidale. Le competenze non cognitive sembrano pertanto giocare un ruolo cardine non solo nel rapporto che l’individuo instaura con sé stesso, ma anche – e soprattutto – nel rapporto che egli instaura con gli altri.
Un adolescente consapevole di sé e delle proprie emozioni comunicherà con animo sereno i propri bisogni ai genitori: il genitore, conscio a sua volta delle necessità del figlio, saprà come relazionarsi con quest’ultimo, al fine di favorirne un percorso di crescita armonioso e in linea con le sue esigenze. Ciò eviterà l’instaurarsi di dinamiche tossiche che, spesso, prendono piede nel rapporto genitori-figli.
Pari modo, saranno arricchenti – a scuola e al di fuori della scuola – le relazioni tra coetanei: un adolescente che, nella propria individualità, si pone all’ascolto dei propri bisogni, si mostrerà, nella collettività, disponibile all’ascolto delle esigenze altrui. Cosciente della propria sensibilità, l’individuo sarà in grado di ravvisare, anche nell’altro, una sensibilità – simile o assai diversa dalla sua – e di rispettarne le emozioni.
L’attitudine alla convivialità risulta essere fondamentale anche in ambito lavorativo, specie per la messa in atto di tutte quelle competenze che rientrano nella sfera dell’intelligenza emotiva, prima fra tutte il team working. Ciò assume rilevanza sia in termini di assunzione – e, dunque, in una fase che precede lo svolgimento vero e proprio delle mansioni – sia per la costruzione – superato il colloquio e varcata la soglia dell’ufficio – di un ambiente di lavoro stimolante e produttivo.
Le life skills sembrerebbero essere la chiave per conoscersi e per farsi conoscere, per partecipare – senza lasciarsi sopraffare – alla vita, per costruire e per costruirsi.
Mariachiara Grandetti