Il tribunale del Lavoro ha stabilito che un dipendente può essere licenziato tramite sms o WhatsApp poiché conforme agli oneri di forma previsti dal codice di rito.
Il tribunale del Lavoro di Catania con una sua decisione ha lasciato non pochi dubbi sulla tutela, ormai rara, del lavoratore.
Sicuramente, una decisione a passo coi tempi.
Il giudice del lavoro di Catania che ha rigettato il ricorso presentato da una dipendente di un’agenzia di viaggi, trentenne, la quale dopo un anno e mezzo di lavoro subordinato si è vista recapitare un messaggio sul sociale network Facebook.
Il giudice ritiene però che non vi sia nulla da obiettare, perché “la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca, come del resto dimostra la reazione da subito manifesta dalla predetta parte“.
E nel rigetto della richiesta di ricorso della lavoratrice, ha citato la posizione della Corte di Cassazione che, tempo fa, aveva specificato che per licenziare non è necessario “per il datore di lavoro” adoperare “formule sacramentali”, visto che la “la volontà di licenziare” può essere “comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara“.
In realtà, l’utilizzo dei social network, come WhatsApp, per licenziare un dipendente rispecchia i tempi moderni e sembra non essere una novità. Già, nel 2016 il Tribunale di Genova ha affrontato il caso di un barista, che è stato licenziato dal datore di lavoro con un sms: ‘Non faccio più aperitivi, buona fortuna'”.
Il giudice aveva ritenuto che “il messaggio, inserito nel contesto dei rapporti intercorsi tra le parti, manifestava chiaramente la volontà della società di risolvere il rapporto“.
Inoltre, secondo il giudicante :” l’sms è, in definitiva, un documento informatico, sottoscritto con firma elettronica”.
Probabilmente occorre distinguere fra piccole aziende, dove i social possono essere una piattaforma di dialogo lavorativo e medie-grandi, dove ci sono sistemi informatici sofisticati e articolate policy di validità delle comunicazioni.
In ogni caso dovranno essere evitati i messaggi che si autocancellano, e, invece, affidarsi alle “spunte blu per avere la prova della ricezione.”
Insomma, un mondo che si adatta, forse troppo, al cambiamento.
Chissà che fine faranno gli infiniti studi sull’onere della forma e della prova a cui giuristi hanno dedicato una vita intera.
Anna Rahinò