La scuola secondo De Amicis: chi è davvero il cattivo nel libro Cuore?

libro Cuore

Il libro Cuore, pubblicato nel 1886, è un classico della letteratura italiana e mondiale, che ha avuto numerosissime ristampe e traduzioni

Il libro Cuore di Edmondo De Amicis non ha bisogno di molte presentazioni: molti di noi lo hanno letto almeno una volta nella vita, integralmente o attraverso degli episodi trattati a scuola, e gli altri ne conoscono almeno il contenuto.  Insomma, fa parte della memoria di tutti noi, tant’è che si è guadagnato l’epiteto di “libro Cuore”,

A grandi linee, ricordiamo che Cuore, pubblicato per la prima volta nel 1886 dalla casa editrice Treves, è un romanzo che racconta un intero anno scolastico vissuto dal protagonista, nonché narratore, Enrico Bottini, in una scuola elementare a Torino. Per la precisione, si tratta della terza elementare, nell’anno 1881-1882: il racconto scaturisce qualche anno dopo gli episodi vissuti, attraverso l’espediente del ritrovamento di un diario, quello di Enrico.

Infatti il romanzo si dispiega su tre filoni narrativi: quello del diario, che racconta fatti e impressioni giornalmente; quello epistolare, formato dalle lettere scritte dal padre di Enrico a suo figlio, per ammonirlo; quello narrativo, rappresentato dai famosi “racconti mensili”, affrontati ogni mese nella classe del protagonista.

In Cuore leggiamo una visione del mondo fortemente polarizzata: ci sono i buoni, e ci sono i cattivi. Tra i buoni rientrano sicuramente coloro che rispettano i valori del nuovo Regno d’Italia, di cui la scuola si fa portavoce

Nella scuola raccontata da De Amicis, da un lato c’è Derossi, il primo della classe, biondo, bello, buono, intelligente, proveniente da una buona famiglia, e chi più ne ha più ne metta. Dall’altro c’è Franti, con la faccia tosta e trista, che ride sempre nei momenti meno opportuni, fa piangere la madre dalla disperazione, fa i dispetti agli altri bambini, è il colpevole di tutte le sciagure che avvengono in classe.

Il primo merita solo rispetto, ammirazione, e un filo d’invidia da parte di Enrico, che vorrebbe tanto assomigliare al caro Derossi, almeno un po’ nella sua prontezza e gentilezza. Il secondo si guadagna solo dissenso e rabbia, ma della sua famiglia, del suo contesto di partenza, non si sa niente.

Questa forte polarità è inserita nel contesto dell’Italia finalmente unita, in cui in una classe di bambini a Torino trova posto anche un piccolo calabrese, di cui si sottolinea l’appartenenza alla patria al pari di quella di tutti gli altri. E’ un’Italia in cui i giovani devono essere formati sul modello delle virtù civili di amore per la patria, rispetto per le autorità e i genitori e spirito di sacrificio. Guarda caso, Derossi aderisce senza batter ciglio a tutto ciò, Franti ne è distante anni luce.



Umberto Eco in “Elogio di Franti” ridefinisce la figura del cattivo, e svela quanto sia limitata quella prospettiva in cui otteneva solo dissenso

In “Diario minimo”, una raccolta di scritti brevi pubblicati da Umberto Eco nel 1963, troviamo anche “Elogio di Franti”. Qui l’autore si occupa di smontare in buona parte l’ideologia alla base della scrittura di Cuore, il “socialismo umanitario”, che in realtà di umanitario ha ben poco. Ad esempio, Eco sottolinea come il padre di Enrico, Alberto Bottini, si faccia tanto promotore dell’egualitarismo, ma non riesca a immaginare che trent’anni dopo potrebbe esserci suo figlio nelle vesti di macchinista, e non l’umile Garrone.

Ma, cosa più importante, Eco fa notare come sia ben definita la situazione sociale di provenienza di tutti gli altri personaggi, al di fuori di Franti. Il povero Crossi ha la mamma che va in giro a vendere delle erbe, Votini si vanta della sua ascendenza nobile, il padre di Coretti vende la legna. Ma di Franti, non si sa nulla, se non per un tratto brevissimo, in cui si descrive la sua mamma piagnucolante in classe: coperta da un vecchio scialle e con la tosse, forse non avevano il riscaldamento a casa? Forse aveva un papà assente?

Tosto e tristo, tale il suo carattere, determinato al principio
dell’azione, così che non si debba supporre che gli eventi e le catastrofi lo mutino o lo
pongano in relazione dialettica con alcunché.

Così, Eco sottolinea il falso moralismo di cui è intriso questo ambiente, e conclude:

Se facciamo della demagogia sul muratore e sull’erbivendola, allora facciamola anche su Franti e sulle determinazioni economiche della sua perfidia.

Francesca Santoro

 

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