Escalation degli scontri in Libia: potremmo essere vicinissimi alla terza guerra civile dopo la morte di Gheddafi. Dopo quella del 2011 e quella del 2014, Tripoli piomba di nuovo nel caos. Il Comando generale delle forze fedeli all’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, ha annunciato che l’Esercito nazionale libico, che controlla l’est del Paese, ha abbattuto un aereo partito da Misurata e diretto a Tripoli. Dopo il bombardamento dell’aeroporto di Mitiga, l’avanzata di Haftar prosegue inesorabile. I suoi uomini hanno preso posizione una decina di chilometri a sud del centro città e hanno sbarrato la strada con l’ausilio di pick-up equipaggiati con mitragliatrici. Anche la base militare Yarmouk, a sud della capitale, è finita sotto il loro controllo.
La risposta di Serraj
Secondo il Libya Observer, le truppe del presidente Fayez al Sarraj avrebbero lanciato raid aerei su obiettivi del generale a sud di Tripoli. Nonostante i 28 morti e 92 feriti tra gli uomini di Haftar dall’inizio dell’operazione militare, le truppe di Sarraj si sono ritirate dopo essere state pesantemente colpite e aver riportato ancora più vittime. I combattimenti tra l’autoproclamato Esercito nazionale libico e le forze fedeli al governo di unità nazionale hanno già provocato 4.500 sfollati solo nella periferia della capitale.
Rischio guerra ad ampio raggio in Libia
“L’avanzata iniziata il 3 aprile è già arrivata ai sobborghi di Tripoli con mille veicoli dotati di armi pesanti e con equipaggiamento a lungo raggio e aereo” ha spiegato a Rai News Claudia Gazzini dell’International Crisis Group. “Serraj ha fatto mobilitare le forze alleate, soprattutto quelle di Misurata. Si teme uno scontro a lungo termine perché la presa militare della capitale da parte di Haftar non sarà semplice. La domanda all’interno del governo di Tripoli ora è se appoggiare questa controffensiva sapendo benissimo che sarà lunga, oppure accettare un negoziato promosso dall’Onu”.
50 vittime, rischio anche per i migranti
I combattimenti al momento stanno interessando aree non troppo densamente popolate, le vittime sono circa 50, per lo più militari, ma come ovvio l’impatto sui civili sarà maggiore in caso di escalation. “Il rischio immediato è la difficoltà di approvvigionamento dei detenuti nei centri di detenzione, anche quelli per i migranti, ma il rischio vero è l’infrastruttura della capitale. Questo si potrebbe tradurre in una maggiore pressione sui migranti che si trovano in Libia, un aumento di coloro che tenteranno di attraversare il Mediterraneo e di libici stessi che cercheranno di fuggire”.
Ricollocati rifugiati di Ain Zara
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha già ricollocato oltre 150 rifugiati dal Centro di detenzione di Ain Zara, nei quartieri sud di Tripoli, al Centro di raccolta e partenza dell’UNHCR situato in un’area sicura nelle vicinanze. Negli ultimi giorni l’area circostante il Centro di detenzione di Ain Zara è stata teatro di scontri pesanti. Inoltre, l’agenzia ha predisposto la presenza di aiuti in aree chiave a Tripoli e a Misurata, rafforzando la capacità di assistenza telefonica e assicurando la continuità dei programmi di protezione per rifugiati e sfollati interni. “In Libia molti rifugiati e migranti sono soggetti a terribili depravazioni. Ora sono ancora più esposti a seri rischi e non deve essere tralasciato alcuno sforzo volto a trarre in salvo tutti i civili e a garantire loro un luogo più sicuro”, ha dichiarato Matthew Brook, vice capo missione dell’UNHCR in Libia.
Guterres (Onu): no a soluzione militare in Libia
Da quando sono scoppiati gli scontri nella capitale libica, oltre 3.400 cittadini sono stati costretti alla fuga e molti altri sono rimasti vittime del fuoco incrociato, impossibilitati a mettersi in salvo. Per risolvere la crisi in corso in Libia non c’è altro modo che “interrompere immediatamente” i combattimenti in corso e “tornare a un serio processo politico”, ha detto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, dopo l’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. “Dopo aver informato il Consiglio di sicurezza, ho ribadito il mio forte appello affinché i combattimenti in Libia cessino immediatamente. Non c’è una soluzione militare. Credo che sia urgente tornare a un serio processo politico”, ha spiegato Guterres in un messaggio su Twitter.
La comunità internazionale che fa?
“In generale c’è un tacito consenso all’offensiva di Haftar da parte della comunità internazionale” spiega Gazzini. “La Gran Bretagna sembra la più agguerrita a chiamare all’azione i Consiglio di Sicurezza. Dall’altra parte la Russia ha bloccato qualunque testo che miri a combattere Haftar”. L’Italia è tra due fuochi: Roma si era aperta a Haftar, Conte l’aveva accolto. Ma dall’altra parte ha alleati con cui fare i contri. Il governo italiano sembra non aver affatto rinunciato a giocare un ruolo da protagonista nella partita libica: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in prima persona tiene contatti con i capi di governo interessati al futuro di Tripoli.
La ricostruzione di Repubblica
Secondo l’esclusiva di Repubblica, l’ultimo incontro fra Conte ed emissari di Bengasi avrebbe avuto luogo lunedì. “Alle cinque del pomeriggio di lunedì scorso un piccolo aereo decolla dall’aeroporto di Ciampino. Proviene dall’hangar riservato ai servizi segreti. E prende una direzione sorprendente: punta verso la Libia. Lo scalo internazionale di Tripoli è stato bombardato poche ore prima, ma questo trireattore Falcon segue una rotta diversa: si dirige verso Bengasi, la capitale del generale Haftar, l’uomo forte che ha lanciato l’offensiva per conquistare la Tripolitania. Sullo schermo di Flightradar, il sito che permette di monitorare i voli, l’aereo scompare subito prima di arrivare alla costa, come fanno solo i velivoli impiegati nelle missioni top secret”.
A Roma gli “amici” di Haftar?
Partendo da questa traccia Repubblica ha ricostruito la trattativa imbastita dall’Italia per cercare di fermare l’escalation di violenza in Libia. “Quel lussuoso Falcon viene utilizzato solo da Haftar e dal suo stretto entourage. Lunedì ha trasportato a Roma una delegazione di alto livello che forse comprendeva – anche se mancano conferme – il figlio del generale e suo principale consigliere. Gli emissari libici si sono incontrati con Giuseppe Conte: un summit fondamentale che si è protratto a lungo, provocando due ore di ritardo nella trasferta milanese del premier. L’Italia resta ferma nel sostegno al presidente Serraj, l’unica autorità riconosciuta dalle Nazioni Unite. Anche dopo i colloqui romani con la delegazione di Haftar, l’ambasciatore Buccino ha informato Serraj. Ma il governo di Roma cerca di sfruttare una condizione unica: veniamo considerati super partes e questo ci permette di dialogare con chiunque”.
Francia blocca dichiarazione Ue
Riguardo alla Francia, Parigi ha bloccato ieri una dichiarazione dell’Unione Europea che chiedeva al generale Haftar di fermare l’offensiva militare in Libia. La bozza di dichiarazione condannava l’attacco militare lanciato da Haftar su Tripoli, spiegando che l’offensiva sta “mettendo in pericolo la popolazione civile, interrompendo il processo politico” e “rischia un’ulteriore escalation con gravi conseguenze per la Libia e l’intera regione, compresa la minaccia terroristica”. La Francia ha bloccato il progetto di dichiarazione, redatto a Bruxelles, sulla base di un procedimento che prevede per i singoli Stati membri dell’Ue la possibilità di esprimere obiezioni. L’Unione ora tenterà di elaborare un nuovo testo che possa ricevere un consenso unanime.
Salvini: “Gravissimo”
Sarebbe “gravissimo” se “la Francia per interessi economici o commerciali stesse bloccando l’iniziativa europea per riportare la pace” in Libia “e stesse sostenendo una parte che combatte”, secondo il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che, intervistato a Radio Rtl, ha detto che “la Francia per molto meno ha ritirato il suo ambasciatore” e aggiunto: “Da ministero dell’Interno non starò a guardare”. Salvini ha ricordato l’intervento promosso dal presidente francese Nicolas Sarkozy che si concluse con l’eliminazione di Muaammar Gheddafi: “Non vorrei che stessimo vedendo lo stesso film e a pagare le conseguenze fossero gli italiani: ma ora c’è governo che alza la testa”, ha detto il vicepremier, “stiamo approfondendo e ci sono delle evidenze” ed “è questione di ore” prima di appurare questi sospetti: “Se qualcuno per business gioca a fare la guerra, con noi ha trovato il Governo sbagliato e con me il ministro sbagliato”.
Miriam Carraretto