Libia oggi: tra Memorandum e attivismo migrante

Lunedì 24 ottobre si è tenuto il primo degli incontri di formazione organizzati dall’ONG Mediterranea Saving Humans. Un ciclo di workshops per raccontare con più consapevolezza quello che accade nel Mar Mediterraneo. Oggi parliamo di Libia, Memorandum e attivismo migrante.

“Libia oggi: tra Memorandum e attivismo migrante” è il titolo del primo incontro di formazione tenuto in diretta streaming da Mediterranea Saving Humans. Alla luce del momento storico che stiamo vivendo, l’ONG, che da anni opera nel Mediterraneo, ha ritenuto necessario avviare una nuova campagna d’informazione consapevole, suddivisa in tre incontri. Al centro del ciclo di workshops, che include la partecipazione di diversi esperti, vi sono le recenti politiche europee e italiane in tema d’immigrazione, e gli avvenimenti che continuano a susseguirsi ai confini e all’interno delle acque del “Mare nostrum”.

 

Libia oggi: le conseguenza del Memorandum

Nel primo incontro si è affrontata la delicata questione libica. La Libia è, infatti, il Paese dove avvengono la maggior parte delle partenze via mare, ma dove anche le persone migranti rimangono bloccate per periodi lunghissimi, in condizioni disumane.  Numerosi sono i report che testimoniano le continue violenze, torture e uccisioni che i migranti subiscono nei centri di detenzione libici.

L’Italia, però, considera la Libia come un Paese alleato, tanto che il 2 febbraio 2017 ha firmato un Memorandum bilaterale, formalmente finalizzato al “contrasto dell’immigrazione clandestina”, al controllo “sul traffico di esseri umani” e “sul contrabbando tra le frontiere”. Le trattative portate avanti dall’allora ministro dell’interno Marco Minniti (correva il tempo del Governo Gentiloni di centro-sinistra) non sono però mai state rese pubbliche.

Ciò che ormai è di dominio pubblico, invece, sono gli effetti provocati dalla firma di questo trattato. In Libia proliferano i centri di detenzione per i migranti: gli abusi e le torture sono all’ordine del giorno. Al contempo, la cosiddetta “guardia costiera libica”, addestrata e attrezzata dal Governo italiano, è attivamente impegnata ad effettuare dei veri e propri push-back delle imbarcazioni in mare.

Il rinnovo automatico del Memorandum avverrà il 2 febbraio 2023, e la speranza che il nuovo Governo decida di non rinnovare l’accordo è ormai solo un miraggio.

Durante il primo incontro si è, pertanto, affrontata la questione libica sotto un duplice aspetto.  Con David Yambio, portavoce di Refugees in Libya, si è parlato dell’attivismo dei migranti che hanno attraversato l’inferno libico.  Con Giuditta Pini, invece, ex-parlamentare del Partito Democratico, si è cercato di far luce sul contesto socio-politico in cui è maturato il Memorandum Italia-Libia.

 La firma del Memorandum Italia-Libia

Il patto firmato nel 2017 tra Italia e Libia, spiega Giuditta Pini, è nato in un contesto di estrema instabilità internazionale. A seguito dell’uccisione di Gheddafi,

La Libia era entrata in una spirale di guerra civile che tutt’oggi persiste.

Con i confini saltati e la situazione politica allo sbaraglio, il Paese è divenuto facile preda di milizie e gruppi mafiosi, che hanno lottato per assumere il controllo delle risorse energetiche e delle persone. Questo contesto ha favorito le partenze via mare di migliaia di persone migranti, che, nel 2016, furono oltre 180 mila.

Numeri non così elevati, in confronto ai 300 milioni di persone che abitano il continente europeo. Il governo italiano di allora però, reagì, ancora una volta, in modo emergenziale, prediligendo la chiusura delle frontiere ad una politica migratoria strutturata.

Il consenso della società civile

Il discorso politico decise di risollevare il nazionalismo latente del proprio elettorato: gli slogan “invasione” e “sostituzione etnica” erano all’ordine del giorno. Preparato il terreno, la firma del Memorandum Italia-Libia, ricorda Giuditta, fu applaudita da tutti i giornali, poiché, improvvisamente, crollarono gli sbarchi.

Non importava che la Libia non fosse un Paese firmatario della Convenzione di Ginevra. Non importava che migliaia di persone fossero riportate indietro dalla “Guardia costiera libica”, verso quelli che Amnesty International ha definito dei veri e propri “campi di concentramento”.

L’emergenza era risolta, a costo di finanziare (si parla di centinaia di milioni di euro) la sofferenza di decine di migliaia di persone.

 

Le rivendicazioni dei migranti

Tra queste persone vittime del Memorandum vi è stato anche David. Portavoce di Refugees in Libya, David parla per dar voce a tutte le persone migranti che in quell’inferno vi sono ancora.

Il movimento Refugees in Libya è nato a seguito di un ennesimo sopruso da parte delle autorità. Il 1° ottobre 2021 le forze di sicurezza libiche e i  gruppi di miliziani di Tripoli avevano fatto irruzione nel quartiere di Gargaresh,  sparando, razziando beni e danneggiando abitazioni e rifugi di migranti e rifugiati provenienti dall’Africa sub-sahariana. L’operazione si era conclusa con il rastrellamento di oltre 5mila persone, già registrate presso l‘UNHCR.

La protesta

Circa 3 mila persone, provenienti da tutta l’Africa e il Medio oriente, decisero pertanto di organizzare una protesta davanti alla sede di Tripoli dell’UNHCR. Alla domanda su quali fossero le rivendicazioni della protesta, David risponde:

Chiediamo di essere riconosciuti come esseri umani. Sotto questo Memorandum migliaia di persone sono morte. Noi esistiamo, siamo persone e abbiamo dei diritti. Chiediamo di abolire Frontex, che venga disconosciuta la Guardia Costiera libica. Chiediamo  di abolire i centri di detenzione, finanziati dal Governo italiano. Chiediamo, infine, che le autorità riconoscano gli infiniti crimini commessi a danno della popolazione migrante in Libia, e che i responsabili vengano costretti a renderne conto.

La risposta dell’UNHCR fu però deludente. I funzionari, i media e i governi rimasero impassibili alle proteste e al crescente stato d’emergenza in cui versavano i dimostranti accampati in strada. Tranne il sostegno di poche ONG, tra cui Mediterranea, la comunità internazionale non intervenne. Tanto che, dopo tre mesi, le autorità libiche smantellarono con la forza il sit-in , e, chi non riuscì a scappare, fu riportato nei centri di detenzione.

 

Il fallimento dell’Unione Europea

Questo episodio segna l’ennesimo fallimento dell’Unione Europea. Attraversiamo un periodo in cui i cambiamenti vengono visti con paura e la risposta più semplice è alzare un muro e chiudere gli occhi. “Abbiamo fallito come UE “, dichiara Giuditta, “nel non riuscire a rispecchiare l’immagine che gli altri hanno di noi,  quella di un Paese unito, senza confini “.

Abbiamo creato un sistema Schengen che ha rivoluzionato l’economia, il mercato, permettendo alle merci e ai cittadini di muoversi senza confini. Ci siamo però chiusi nei confronti di chi stava fuori e lì sono prevalse le dinamiche di ogni singolo Stato. Questa è la morte dell’Europa, demografica e culturale.

I mezzi per cambiare le politiche migratorie ci sono già e lo abbiamo visto con la guerra in Ucraina. Per gli ucraini sono state attivate, per la prima volta, delle misure di protezione già previste dalla normativa europea e mai utilizzate per altri profughi di guerra.

Sancire nuovi accordi con i Paesi Terzi a tutela delle persone, aprire passaggi sicuri, incentivare i canali di lavoro: queste è la strada da intraprendere. Inoltre, continua Giuditta,

Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, delle azioni che abbiamo fatto come Governo. Se vogliamo essere credibili nella battaglia, dobbiamo, innanzitutto, partire da noi. Dobbiamo conoscere e far conoscere la situazione in Libia.

Ed è proprio questo appello che ci rivolge anche David:

Informatevi. Come la migrazione è stata strumentalizzata e criminalizzata. Questa è una battaglia per l’umanità. Cosa potete fare? interessatevi alla nostra storia, che cosa ci ha spinto a migrare. Sensibilizzate la società civile, affinché la consapevolezza sull’immigrazione sia maggiore. Ma soprattutto, trattateci come persone, come esseri umani. Di cosa abbiamo bisogno? abbiamo bisogno di riconoscimento. C’è bisogno che voi  vi facciate portavoce delle nostre istanze, dei nostri diritti. Non siamo qualcosa da strumentalizzare. Siamo persone che sono state oppresse, silenziate, messo in mezzo alle politiche. Valorizzate la nostra voce, affinché possiamo godere dei diritti fondamentali che ci spettano come persone.

Ed è con questo appello alla società civile che si conclude il primo degli incontri organizzati da Mediterranea Saving Humans. Mentre riflettete su queste parole, segnatevi la prossima data: il 7 novembre, alle 20.30, si torna a parlare di Mediterraneo con “L’evoluzione delle politiche migratorie nel Mediterraneo: il ruolo di Frontex”.

Eva Moriconi

 

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