Con decine di giornalisti e attivisti accusati di “insulto”, #MyOpinionIsNotACrime è la nuova campagna di Amnesty International per riformare le leggi che criminalizzano il dissenso in Libano
In seguito alle violente proteste del 2019, e alla grave crisi economica che ha colpito il Paese, il Libano ha intrapreso una criminalizzazione delle critiche e del dissenso.
Le leggi, via via più repressive, hanno portato in carcere numerosi giornalisti e attivisti per i diritti umani. Di conseguenza, questi non sono in grado di esprimersi liberamente, indagare ed esporre la corruzione e i crimini di leader e funzionari governativi.
Con la campagna “#MyOpinionIsNotACrime“, Amnesty International si rivolge alle autorità libanesi, chiedendo leggi in linea con il diritto internazionale e i diritti umani.
Libertà di espressione in Libano: diffamazione e insulto
Il Libano è, ad oggi, un Paese tormentato da difficoltà economiche e politiche.
Queste accendono il dibattito pubblico, il quale, tuttavia, è minacciato da leggi repressive sulla diffamazione e l’insulto.
Norme che si fanno sempre più rigide, a causa di figure politiche, giudiziarie e religiose intenzionate a intimidire e mettere a tacere le voci critiche. Così che, a difensori dei diritti umani, giornalisti, e attivisti, sia impedito indagare e discutere questioni sociali, economiche e relative ai diritti.
Secondo Aya Majzoub, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, le norme sono pensate proprio per questo fine.
Le leggi libanesi sull’insulto e la diffamazione sono progettate per proteggere chi è al potere da ogni forma di critica.
In un momento in cui i cittadini libanesi dovrebbero discutere liberamente di ciò che si aspettano dai loro leader, data la grave sofferenza dovuta alla crisi economica, funzionari di alto rango stanno prendendo di mira giornalisti, difensori dei diritti umani, attivisti e altri che stanno esprimendo pacificamente le loro opinioni e lavorando per esporre le accuse di corruzione
Secondo la legge, sono vietati diffamazione e insulto contro dipendenti pubblici, funzionari, giudici, il presidente, la bandiera, l’esercito e persino Stati stranieri.
La diffamazione può verificarsi in due modi: attribuendo a una persona o istituzione un’azione che offenda il loro onore o dignità, o pubblicando disprezzo, volgarità o insulti.
Le condanne ai sensi di queste leggi possono portare a pene detentive fino a tre anni e / o multe.
“Un Paese senza garanzie di libertà”: le parole dei condannati
Dopo i movimenti di protesta in Libano nell’ottobre 2019, si è registrato un aumento delle indagini e dei procedimenti giudiziari relativi alla libertà di espressione.
In particolare, tra ottobre 2019 e giugno 2020, Amnesty ha documentato 75 casi di persone citate in giudizio, di cui 20 giornalisti. Inoltre, per la maggior parte, le denunce provengono da funzionari di alto livello.
Tra le persone accusate quest’anno c’è Jean Kassir, giornalista e co-fondatore del media indipendente Megaphone.
Lo scorso marzo, Kassir è stato convocato sulla base di una denuncia per diffamazione da parte del principale pubblico ministero libanese, il quale era stato individuato da Megaphone come uno dei “fuggitivi dalla giustizia” nel caso dell’esplosione del porto di Beirut nel 2020.
La successiva mobilitazione popolare ha fatto sì che il procuratore facesse cadere le accuse contro Kassir, il quale, però, teme che non sia finita.
Non credo che sia finita. Potrebbero emettere una nuova denuncia o citazione contro di noi in qualsiasi momento, perché le nostre pubblicazioni li hanno turbati.
Siamo in un Paese in cui non ci sono garanzie per la libertà di espressione e la libertà di stampa. Leggiamo la convocazione come un tentativo di intimidazione e un messaggio politico contro di noi
Anche Lara Bitar, caporedattrice del sito web di giornalismo investigativo Public Source, è stata convocata a marzo dopo aver pubblicato, otto mesi prima, un articolo che accusava un importante partito politico di presunti crimini ambientali durante e dopo la guerra civile libanese (1975-1990).
In molti hanno manifestato per la sua liberazione, esponendo cartelli che dicevano: “I trasgressori fanno causa ai giornalisti” e “Il giornalismo non è un crimine“.
Bitar, infine, ha dichiarato:
L’Ufficio anti-criminalità informatica sta reprimendo la libertà di parola in generale. Convocare i giornalisti è un modo per intimidirli
Il caso più recente, lo scorso luglio, è quello della giornalista Dima Sadek, accusata di diffamazione e condannata a un anno di reclusione e una multa di 110 milioni di LBP (circa 1200 dollari US) per aver criticato i membri di un partito politico su Twitter.
Quello di Dima è uno dei verdetti più severi emessi in Libano contro l’espressione pacifica. Secondo la stessa giornalista, il suo caso rappresenta “un precedente molto molto pericoloso sulla libertà del giornalismo, dei media e di espressione in Libano”.
#MyOpinionIsNotACrime: una campagna per la libera espressione in Libano
Secondo un’analisi legale condotta da Amnesty International, le leggi sulla diffamazione e l’insulto in Libano sono particolarmente problematiche e incompatibili con il diritto internazionale.
Innanzitutto, “l’insulto” non è un reato riconoscibile ai sensi del diritto internazionale. E, in ogni caso, la reclusione non è mai una pena appropriata per la diffamazione. In più, secondo la legge libanese, la verità non vale come difesa. Ciò significa che, anche se le presunte diffamazioni corrispondono a fatti reali, gli individui possono comunque essere perseguiti e condannati.
Secondo il diritto internazionale “tutte le figure pubbliche, comprese quelle che esercitano la più alta autorità politica come i capi di stato e di governo, sono legittimamente soggette a critiche e opposizione politica“.
Eppure, in Libano, i funzionari pubblici godono di una protezione speciale contro la diffamazione e l’insulto, e le pene aumentano quanto più alto è il rango dell’individuo contro cui è diretta. Il Presidente, infine, gode di una particolare protezione: il pubblico ministero può presentare accuse di diffamazione contro il Presidente di propria iniziativa, anche senza una denuncia da parte dello stesso.
Oltre a ciò, le agenzie di sicurezza non hanno rispettato i diritti processuali degli imputati, mettendo in atto comportamenti intimidatori, minacce, e persino torture.
Per tutti questi motivi, Amnesty ha lanciato la campagna #MyOpinionIsNotACrime, chiedendo alle autorità libanesi di abolire le disposizioni sull’insulto, e depenalizzare la diffamazione.
La nostra nuova campagna #MyOpinionIsNotaCrime chiede alle autorità libanesi di abolire gli articoli del codice penale, della legge sulle pubblicazioni e del codice di giustizia militare che criminalizzano gli insulti e di sostituire gli articoli sulla diffamazione con nuove disposizioni civili.
Tali riforme equilibrerebbero la protezione della reputazione delle persone da danni indebiti, garantendo al contempo la protezione del diritto alla libertà di espressione